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STAMPA
Si tratta di guerra cognitiva. Prof. Giovanni Sacchi.

La guerra cognitiva è la guerra condotta dalle classi dominanti per mezzo di giornalisti assoldati, politici o personalità note. Il terreno di conquista è la nostra mente. L’obiettivo è quello di mobilitare i cittadini europei e irreggimentarne il pensiero, per uniformare il consenso (e dunque annientare il dissenso) riguardo un determinato impegno bellico, diretto o indiretto, che comporta sacrifici alla popolazione e dunque potrebbe essere percepito come impopolare.
Come si costruisce il nemico.
Il momento principale della guerra cognitiva è la costruzione del nemico. Il processo si articola con la diffusione di narrazioni di vario genere, che potremmo suddividere nelle seguenti categorie, in base alla loro funzione:
Disumanizzazione: il nemico è una pura espressione del Male. Ad esempio Putin è un dittatore, Putin come Hitler, anzi come Stalin anzi come lo Zar. Pertanto non si può discutere con lui, si può solo combattere.
Discreditare l’avversario: il nemico è debole, se uniti possiamo sconfiggerlo. Es.: la Russia è una tigre di carta, ha finito i carri armati, l’armata rotta, l’economia russa è debole, anche oggi fallirà domani.
Minaccia: il nemico rappresenta una minaccia esistenziale e immanente. Es.: la Russia non sta più fallendo, ma minaccia di invadere l’Europa (ovviamente noi siamo l’Europa, la Russia non è più Europa, secondo questa narrazione), sabota il gps di Ursula von der Leyen, viola il nostro spazio aereo, ci invia droni, etc. Dobbiamo armarci e prepararci ad un confronto diretto che ormai sembra inevitabile.
Suprematismo: noi siamo il “giardino fiorito” fuori dal quale c’è la “giungla”. Serve a legittimare sempre e comunque le nostre politiche, a giustificare la nostra ingerenza estera e la nostra guerra. È un approccio intrinsecamente razzista in contraddizione con gli stessi principi democratici. Per superare questo paradosso, il suprematismo ci viene offerto da intellettuali della sinistra, come Roberto Benigni. Inoltre serve a superare le voci critiche: “bisogna sopportare sacrifici, a costo di peggiorare le nostre vite, per difendere democrazia” (ovvero il diritto di votare per il centrodestra o il centrosinistra ogni tot anni). “Loro non ce l’hanno”. “Viviamo pur sempre nel migliore dei mondi possibili”. “Chi non è d’accordo può andare a vivere in Russia, o in Cina o a Cuba”. Questa sono i ritornelli che i “democratici” ripetono a pappagallo. E questo è il peggior pregiudizio da cui dobbiamo emanciparci per costruire un mondo di pace.
Amare la guerra.
L’obiettivo della costruzione del nemico è quello di irreggimentare l’opinione pubblica e normalizzare la guerra. Per accettare l’orrore della guerra, della sua distruzione, della sua disumanità, l’opinione pubblica deve credere che sia “Dio stesso a volerla”, cioè che sia Santa. Più il popolo odia il nemico, più impara ad amare la guerra.
La guerra santa: per la propaganda la nostra guerra è sempre più giusta, più umana, più necessaria di quella degli altri. Anzi è una guerra di difesa. Anzi, non è neanche una guerra: è un’esportazione della democrazia, è una missione umanitaria, una lotta per la libertà. Anzi: i popoli oppressi dai dittatori ci chiedono di bombardarli per diventare come noi. Solo i folli o i malvagi non vogliono diventare come noi. Le nostre bombe non uccidono, sono intelligenti. Le vittime? Effetti collaterali. Come i milioni di bambini uccisi in Afghanistan, Iraq, Jugoslavia, Palestina. E prima ancora in Vietnam, Corea, ecc. È vero che le stesse categorie adesso sono utilizzate da Mosca, ma forse è proprio questo che preoccupa le élite imperialiste occidentali: la perdita dell’eccezionalità. E così la NATO ha trovato un altro modo per condurre la guerra contro il suo nemico storico (che - attenzione - è diverso dal nemico strategico degli USA): rendere il conflitto invisibile, agendo attraverso una proxy, l’Ucraina. Noi non siamo in guerra, ma sosteniamo la difesa di un Paese che è “una giovane democrazia imperfetta” che resiste a “un’aggressione assolutamente non provocata e ingiustificata” da parte di una dittatura autoritaria e autocratica.
Lo spauracchio di Putin.
Peccato per noi che non sia così. La guerra cognitiva dell’Occidente contro la Russia precede la guerra in Ucraina. Anzi, precede addirittura il Maidan. In pochi ricorderanno che le prime “pallottole” del conflitto invisibile sono state sparate ai tempi delle primavere arabe.
Già nel 2012, il Cremlino spaventava il “mondo civilizzato” con le sue armi micidiali: come le pistole psicotroniche che rendevano “zombie” gli oppositori.
La notizia era stata diffusa dalla stampa inglese e poi replicata sulle riviste online italiane.
La macchina da guerra putiniana, secondo i nostri giornalisti, faceva ricorso persino al mondo animale: delfini e beluga utilizzati come spie. L’arma segreta di Putin? Il polpo gigante assassino. Secondo il Daily News con il suo veleno paralizzava a 50 metri di distanza. Non sappiamo se si trattava di veline dell’MI6, o di notizie da dare in pasto al grande pubblico per aumentare le visualizzazioni (o entrambe le cose), ma possiamo supporre che siano state funzionali nella costruzione di una percezione negativa della Russia. In sintesi, sono notizie che, per quanto stupide, condizionano e manipolano l’opinione pubblica.
Così come i gruppi di influenza creati ad hoc, ad esempio le pussy riot o le Femen, utilizzate per abbordare i movimenti della sinistra europea e creare un consenso antirusso, per preparare il terreno al secondo colpo di stato ucraino nel febbraio 2014. Il primo grosso attacco ibrido per mezzo di una campagna informativa e di attivismo politico, avvenne proprio nel 2012 durante gli europei di calcio, per screditare e demonizzare l’ex presidente Yanukovic. Si parlò di sterminio di cani randagi per mezzo di forni crematori portatili. Le notizie si rivelarono false, ma intanto il seme della discordia era stato gettato.
Si potrebbe capire meglio la guerra in Ucraina rispondendo alla domanda: perché dal 2012 vennero lanciate queste campagne di disinformazione?
I nazisti buoni.
Per amare la guerra ma non combatterla in prima persona, bisogna amare le nostre proxy. I “nostri” guerrieri per la libertà, che siano jihadisti, feroci tagliagole o ultrà nazisti, sono sempre giovani studenti che combattono contro un brutale dittatore. Che sia Gheddafi, Putin o Maduro.
Così, mentre la stampa trasformava i battaglioni neonazisti ucraini in “lettori di Kant”, truppe di fact checker sono stati assunti per spiegare che la svastica è in realtà un simbolo della tradizione nordica, o che i “filorussi” nella Casa dei Sindacati di Odessa il 2 maggio 2014 si sono dati fuoco da soli (per provocare l’invasione russa). La nostra propaganda ha sdoganato, giustificato o minimizzato il nazismo ucraino. Altrimenti sarebbe stato difficile spiegare che bisognava stare dalla parte ucraina e mandare armi a Kiev (cioè ai battaglioni nazisti).
Operazione empatia.
Soprattutto all’inizio del conflitto diretto con la Russia, i media italiani hanno esaltato il popolo ucraino. Le tv hanno iniziato a diffondere trasmissioni di cultura ucraina (tg in ucraino, cartoni animati in lingua ucraina, la serie Netflix “Servitore del Popolo” con Zelensky). Le radio trasmettevano canzoni patriottiche ucraine, come “Oi u luzi chervona kalyna”. ONG e associazioni facevano la spola tra l’Italia e le regioni ucraine occidentali per portare aiuti umanitari o raccogliere profughi. A questo proposito, gli ucraini ottennero un canale preferenziale per entrare in UE, oltre che sussidi e aiuti. Nell’operazione vennero coinvolti tutti gli apparati ideologici di stato, persino le scuole primarie e dell’infanzia, dove spesso veniva esposta la bandiera ucraina o organizzate iniziative di solidarietà e aiuto.
Naturalmente non ci sarebbe nulla di male nell’aiutare un popolo sotto attacco, anzi! La solidarietà, però, è stata strumentale. L’operazione empatia, invece, è servita all’ucrainizzazione del’opinione pubblica e a formare un consenso totale sull’invio di armi a Zelensky.
Adesso che gli ucraini scappano, rischiando di morire annegati nel Tibisco, pur di non andare al fronte, non solo non ci sono corridoi umanitari, ma i governi europei valutano con Kiev azioni di rimpatrio degli uomini in età di leva. Altro che accoglienza!
Derussificazione della cultura.
La cancellazione e boicottaggio della cultura russa è complementare all’ucrainizzazione. In Italia non siamo arrivati a bruciare o mandare al macero i libri russi, come invece accaduto in Ucraina, ma sono stati cancellati spettacoli, concerti, mostre di artisti russi, vivi o addirittura morti. Sono stati sospesi i programmi di ricerca scientifica con le università russe, sono addirittura stati cancellati i corsi su Dostoievskij. Tutto ciò è avvenuto con una palese ingerenza di gruppi ucraini, probabilmente agitati dall’ambasciata in Italia.
Tutt’ora esistono pressioni per cambiare i libri di storia delle scuole primarie e medie inferiori, accusati di essere “putinisti”. Anche questa è una fase importante della guerra cognitiva.
Il totalitarismo di guerra.
Questa architettura cognitiva sta in piedi soltanto se si riduce la complessità della realtà a due dimensioni: i buoni contro i cattivi. Il pluralismo dei punti di vista si è trasformato nel pluralismo dei media che ripetono lo stesso punto di vista. Il divieto dei media russi è servito a cancellare tutti i punti di vista differenti da quello della NATO.
E cos’è il totalitarismo se non un sistema in cui è ammesso un unico punto di vista nel campo del pensabile?
L’informazione irreggimentata è stata uno dei principali strumenti di costruzione della Verità di stato, di mobilitazione generale dell’opinione pubblica. Chiunque abbia mostrato dubbi o opposto critiche, è stato immediatamente stigmatizzato come “filorusso” o addirittura inserito in liste di proscrizione.
Abbiamo tutti gli ingredienti del totalitarismo : la verità di stato, il fronte interno, il nemico del popolo, la caccia alle streghe e la santa inquisizione (mediatica).
In quest’ultima operazione sono stati impegnati non soltanto i giornalisti mainstream, che periodicamente sottopongono il filorusso di turno a gogne mediatiche coordinate e su larga scala, ma anche squadracce del web, in azione soprattutto sui social. Come ad esempio i NAFO, gruppi di utenti – reali o bot – che hanno come avatar un cane, la bandierina dell’Ucraina e una sfegatata devozione per Kaja Kallas e Pina Picierno. La loro funzione è quella di bullizzare chi la pensa diversamente. Questa è la loro democrazia.
Decostruire il nostro pensiero.
Per fuggire alla tempesta propagandistica occorre prima di tutto recuperare ciò che la guerra cognitiva ci ha tolto: un punto di vista autonomo e indipendente. Ciò è possibile riammettendo nel nostro campo i punti di vista messi al bando. Soprattutto i punti di vista dei popoli che l’Occidente ha colonizzato.
Da queste nuove premesse, dobbiamo sottoporre le nostre narrazioni ad una critica radicale. Capovolgere le sante verità propinate dagli apparati ideologici di stato, verso i quali dovremmo imparare a mantenere un sobrio scetticismo, verificare le notizie, andare sul posto, ascoltare le altre campane. Recuperare una dimensione storica, relativizzare i nostri valori.
Demistificata la propaganda, probabilmente, troveremo una brutta sorpresa: da sempre utilizziamo la nostra ideologia come paravento per portare guerra nel mondo e soggiogare gli altri popoli. Prima esportando il cristianesimo, poi la “civiltà”, adesso la democrazia. L’obiettivo dei nostri governi non è distruggere la tirannia. Gli imperialisti, guerrafondai, genocidi siamo noi europei. E stiamo facendo combattere gli ucraini nel disperato tentativo di mantenere la nostra egemonia in mondo sempre più multipolare. Tutto il resto è propaganda.

FONTE: Questo articolo è un mio riassunto. Non è stato sottoposto all’approvazione dell’autore. Vuoi leggere l'originale? Fai click su questa scritta.


Articolo proposto dal prof. Giovanni Sacchi e pubblicato in Rete su https://it.quora.com/profile/Prof-Giovanni-Sacchi
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