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  IL TACCUINO DI MARIO  
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La trippa non c’è più. È finita la trippa.

Esiste una realtà ed esistono tanti modi di percepirla e di interpretarla. Poi ci sono le persone, con la loro immaginazione e la loro fantasia. Capita, a volte, che la realtà e la fantasia si incontrino ...
Forse quello che segue è uno di questi casi. Comunque, anche in questa circostanza, l’abituale frase: “fatti e riferimenti sono puramente casuali” coprirà, pietosamente, tutto. Ci sono, infatti, realtà (Paesi) e verità (note) che non possono essere dette o scritte.
Colto da un malore, mi trovo, dopo neanche mezz’ora, disteso su un angusto lettuccio, provvisto di ruote, al Pronto Soccorso dell’Ospedale di X. Ammirato e tranquillizzato da tanta efficienza, tempestività, scrupolo e precisione, seguo gli eventi di cui, mio malgrado, sono parte.
Ogni tanto compare un infermiere. Ora è per un controllo. Ora è per un prelievo. Ora è per la misurazione della pressione e dell’ossigeno nel sangue.
Sono passate tre ore dal malore. Dalle mani e dai piedi è scomparso il misterioso formicolio. La memoria ha ancora alcuni … vuoti e i miei familiari mi stanno aiutando a recuperare. Mi sono abbastanza ripreso e, al bisogno, mi muovo portandomi appresso la flebo. Un infermiere mi incrocia, mi sorride e mi suggerisce un palo con delle piccole ruote.
Sono passate parecchie ore, ma nessuno mi ha ancora chiesto se ho sete o se ho fame. Fortunatamente sono sempre guardato a vista da un familiare. Ma chi il familiare non ce l’ha, come farà?
È passato ancora altro tempo. Bene, è come speravo e pensavo, ossia: mi è stato assegnato un codice di urgenza molto basso; quindi: non sono grave. Poi, finalmente, altri esami clinici e la visita dei medici. Ne sfilano almeno un paio, le loro sono visite brevi, ma accurate.
Sono passate quindici ore, noto un poco di trambusto tra i presenti. Deve essere venuto il momento della visita di un qualche medico importante.
“Cosa me la porti a fare? Ha ottantaquattro anni! È inutile che me la porti qui! Che cosa credi o che cosa pretendi? Quello che possiamo fare noi, qui, lo può fare benissimo il tuo medico.” Ha un tono di voce molto alto e molto poco garbato. Sento un farfugliamento di giustificazioni. Guardo l’espressione perplessa del mio familiare. Penso: se riesco a ignorare la grinta, ci sta tutto. Probabilmente si tratta di una paziente abituale, magari un cronico. Forse li conosce bene e il “tu” confidenziale lo lascia supporre. Il volume alto della voce è la conferma che quel dottore li conosce e sa che hanno anche problemi di udito.
Effettivamente durante le precedenti ore di attesa avevo sentito fare i complimenti che si fanno abitualmente ai neonati, ma - strano - non ho mai sentito vagiti. Con tono particolarmente rude ora la voce riprende: “E quello che cos’è? Che cosa ci fa qui un neonato? Questo è un Pronto Soccorso e non una nursery!” Arrivano affannate le risposte. Sono con un filo di voce e strozzate, ma hanno dignità: “Siamo solo io, mio marito e il nostro bambino. Ha solo tre mesi e lo allatto io al seno. Mio marito deve andare a lavorare. Non so proprio come fare. Ho un grande male al petto”. Riprende la voce: “Non mi interessa. Il bambino, qui, non ci può stare!” Lei: “E dove dovrei mettere mio figlio? Chi lo allatta?” Di nuovo quella voce: “Ci sono delle regole …” Ancora lei, sempre con un filo di voce: “Io ho un grande male al petto, qui sotto i seni e dalle ascelle giù fino alle costole.” Lui, acido, aggiunge: “Vai dal tuo medico, ne avrai pure uno!”
Guardo in faccia chi mi custodisce e mi alzo. Uno scambio di occhiate e il custode capisce subito che il custodito non avrebbe gradito o inteso qualsiasi consiglio. Giro rasente al muro della grande stanza. Sono alle spalle del camice bianco. Non debbo avere una bella espressione. C’è una infermiera che lesta scompare. Vediamo i compagni di … avventura o di … sventura. I primi stanno già lasciando la grande stanza. I secondi … Sorpresa: i secondi sono una coppia giovanissima: lei è una bianca mentre lui è bello nero. L’africano non ha mia aperto bocca. Il piccolino è bianco, ma i lineamenti …
Torno verso il mio angusto lettino. Sto facendo l’abitudine sia al persistente leggero mal di testa sia ad una sensazione tra la vertigine e la nausea, che non mi hanno mai abbandonato dal malore. Mi sembra, poi, che la punta dei piedi abbia ancora poca forza. Tutte sensazioni queste a me quasi sconosciute, ma - già ora - non mi disturbano più di tanto.
Riprende la voce: “E lei che cosa ha fatto?” Penso: “Beh, almeno con questa malata non è in confidenza!” Lui prosegue: “Che medicine prende?” Pausa. “Chi è il suo medico?” Pausa. “Ma insomma che cosa ha?” Pausa. Penso: quel dottore dovrebbe farcela a capire che le persone al Pronto Soccorso non ci vanno in gita di piacere. È evidente che quella malata deve avere dei problemi e, forse, subisce negativamente quel tono di voce e quel volume infelice. La signora, alla fine, risponde. Piange e singhiozza: ricorda il nome dei alcuni farmaci e, similmente, ricorda solamente il nome di uno tra i numerosi medici che la seguono. Si lamenta, poi, per il gran male allo stomaco. Lui, dal camice super bianco, contesta lucidamente nella forma, ma orrendamente nel tono che, con quel disturbo, si va dal proprio medico il quale fa le prescrizioni e gli accertamenti del caso. La sua poteva essere una battuta, di black humor, conclusiva: “Al Pronto Soccorso non ci si va per una gastroscopia …” Quelle parole, invece, fanno crollare la povera donna. Ora è un pianto disperato: “No! No! La gastroscopia no! I medici di Y hanno fatto la gastroscopia a mio marito e lui è morto. C’è rimasto con la gastroscopia. Me lo hanno ridato già chiuso nella bara. Ha capito? Non lo ho potuto più rivedere mio marito. Ma lei sa che cosa vuole dire salutare uno e riaverlo chiuso nella bara?! No, la gastroscopia non me la faccio fare. Ci sarà pure qualche altro modo per curare il mio mal di stomaco?” Il medico ha cambiato leggermente tono: “Mi dispiace signora per suo marito. Io non centro nulla con quello che è accaduto. Ma, qui, io non posso fare nulla per lei. E comunque lei la gastroscopia dovrà farla …”.
“E comunque lei, dottore, è bene che cambi il modo di trattare i suoi malati!” Aggiungo io. L’effetto sorpresa dura un attimo, che subito risponde, con quel suo tono che urta sia la mia che l’altrui sensibilità: “E lei chi è? Che cosa vuole? Che cosa c’entra? Perché non sta nel suo letto?” Rispondo: “Sono un paziente che esige che anche i medici siano a loro volta pazienti!” Questa volta anche il mio tono di voce non è felicissimo: basso e cattivo.
“Ah, bene. Benissimo. Allora lei non si fa gli affari suoi. Anzi lei viola la privacy degli altri malati. Sta ad ascoltare mentre loro parlano con i medici”. Sono lento all’ira, ma quanto accaduto mi ha indisposto terribilmente. Di certo, poi, non sono al meglio: la barba di un paio di giorni, gli abiti usuali stazzonati dalla permanenza nel lettuccio, il palo con la flebo. Non cambia la mia voce, che ha sempre un tono basso e cattivo: “Tra me e gli altri ammalati c’è una sottile tendina di plastica che non ho voluto io, ma quella Amministrazione che le paga lo stipendio per questo servizio!” Lui commenta: “Io sto facendo quello che debbo fare! Se qualche cosa non le va, può lamentarsi … “ Naturalmente non voglio sapere, da lui, con chi dovrei lamentarmi né altro. Esclamo: “Guardi dottore, consideri pure la cosa fatta”. Ed aggiungo: “E se quelle persone volessero fare anche qualche cosa di più, che so: Tribunale per i Diritti del Malato, ebbene io mi considero a loro disposizione per testimoniare sull’accaduto”.
Un attimo e lui è scomparso. Non sono passate due ore dal … confronto e già mi trovo in un altro reparto.
Qui tutti, personale medico e paramedico, sono “latte e miele”. E anche in abbondanza! Osservo i miei compagni di stanza. M. è molto anziano e vuole essere curato ed anche coccolato. M. ha chiamato, in due ore, per dieci volte le infermiere. Alla decima, l’infermiera - ancora sorridente - ha aggiunto: “M. guardi facciamo così, io resto al suo fianco, ancora per un poco, e vedrà che questa volta riusciamo a regolare l’inclinazione del suo letto!”
E peggio di M. fa B. che … scarica nel pannolone, per ripicca, ogni volta che non viene immediatamente accontentato.
Mi capita di parlare delle mie … fresche esperienze di ospedale con una badante. “Nella tal stanza è accaduto di peggio. C’era una paziente che, per attirare l’attenzione, gettava tutto ciò che le capita tra le mani. Ha lanciato anche una bottiglietta, da mezzo litro, verso l’infermiera. Era di plastica, però … Poi ha apostrofato tutti in malo modo. Le infermiere si sono alternate tra di loro e la situazione è tornata normale od almeno sotto controllo”.
“Ma che cosa sta succedendo?” chiedo io. Risponde la badante “Non c’è molto da spiegare o da capire. Semplicemente: non c’è più trippa! La trippa è finita!” E prosegue: “Tutti erano contenti perché si illudevano che i tagli alla spesa pubblica servissero a ridurre le tasse. Invece le tasse sono rimaste ed i servizi sono peggiorati. E, creda a me che sono anni che lavoro qui, continueranno a peggiorare. Soprattutto nella sanità gli effetti si manifestano nel tempo. Vedrà, andremo giù! Andremo così in basso che non l’avremmo neanche immaginato possibile!” Per sottolinea questa sua convinzione indica più volte il pavimento, tenendo il pollice verso.
La badante ha finito il suo turno, piega in un attimo il camice, poi aggiunge: “Per fare questo lavoro bisogna esserci portati. Chi lavora alla medicina d’urgenza ha dei carichi e dei ritmi pazzeschi. Non voglio prendere le difese di nessuno, però le assicuro che in certi posti c’è di che andare fuori di testa. Chi lavora alla medicina d’urgenza ha la mia ammirazione. Ora che la trippa è finita, c’è chi deve lavorare troppo e pensa di prendere troppo poco. Poi c’è che deve lavorare assillato dalla necessità di fare dei numeri. Magari con la paga collegata a degli obiettivi. Ora che la trippa non c’è più, sta male sia chi serve sia chi è servito”.
“Signora, la ringrazio e rifletterò sulle sue parole. Trovo interessante quello che mi ha detto. Spero di incontrarla di nuovo, ma non in un ospedale!” Lei ha sorriso, per la battuta scontata, ed è uscita.

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Possa questo giorno essere un giorno luminoso...
Ciao.


Mario Paganini
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