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Il Referendum del 18 aprile

Sono molti gli interrogativi che si pongono gli elettori per il prossimo referendum.
Eccone alcuni tra i più ricorrenti:

Siamo chiamati a votare per che cosa ?
Questo referendum dovrebbe servire ad abolire la quota proporzionale. Nell’esistente legge elettorale il territorio nazionale è stato diviso in collegi e viene eletto in Parlamento il candidato che ha ottenuto più voti (maggioritario) nel collegio di appartenenza. Tuttavia, per salvaguardare gli interessi di minoranze qualificate, alcuni seggi parlamentari sono assegnati, ripartendoli su una quota a parte, in proporzione ai voti complessivamente ottenuti su tutto il territorio italiano.
Un esempio può chiarire: con il maggioritario un partito, anche piccolo, ma particolarmente forte in alcune zone, riesce ad eleggere dei rappresentanti in Parlamento. Invece un partito, presente su tutto il territorio nazionale, con un discreto seguito sociale, ma senza essere in qualche luogo (“collegio elettorale”) forza dominante, non riesce ad avere rappresentanti in Parlamento. Se, però, una parte dei seggi viene attribuita in proporzione ai voti complessivamente ottenuti, é probabile che anche quel partito riesca ad avere dei rappresentanti eletti in Parlamento. Ed è, appunto, questo quanto prevede la norma vigente.
Il quesito referendario può, allora, essere così sintetizzato: sei favorevole alla eliminazione della quota proporzionale prevista dalla vigente legge elettorale ?

Chi ha voluto questo referendum ?
I partiti maggiori suggeriranno un “sì” perché ne hanno vantaggio. C’è, poi, chi ritiene che l’economia debba guidare la politica (e non viceversa) e, pensando un Paese governabile con le regole proprie di una azienda, si comporta di conseguenza. Infatti nelle aziende solo la maggioranza comanda, la minoranza non conta. Non va dimenticato che, nelle grandi aziende, l’azionista di “maggioranza” è, in realtà, il più consistente tra tanti piccoli gruppi.
In questo momento l’attivismo di alcuni infastidisce l’agire dei potenti.
Inoltre ogni Paese ha una sua storia, una sua dialettica culturale. Più è complessa la storia di un Paese e ricca di confronti la sua tradizione, maggiore è il numero dei partiti. I partiti sono la conseguenza di una situazione oggettiva. Eppure alcuni ravvisano nel pluralismo partitico un difetto, una causa, l’origine di tante tribolazioni. Ma i partitini esistono perché uomini liberi hanno liberamente deciso di sostenerli…
Occorre, allora, chiedere ai parlamentari, che vogliono l’abrogazione del proporzionale, perché non hanno fatto una nuova legge elettorale? Che senso ha fare un referendum, se lo schieramento degli abolizionisti del proporzionale è così ampio? Come noto questo referendum cancella parzialmente il testo della legge. Se vinceranno i “sì” la legge dovrà, comunque, essere riscritta.
Molte sono le urgenze per il Paese. Ad esempio tanti chiedono alla politica una maggiore moralità e si potrebbero fare buone leggi per risolvere quanto emerso con Tangentopoli, eppure…
Un elemento è certo: questo referendum distrarrà molte energie e risorse che potevano essere diversamente impiegate.

Quale sarà l’esito della consultazione ?
I mezzi dispiegati in campo sono sproporzionati alla contesa. Il fronte del “sì” ha potenti amicizie e, quindi, ottiene attenzione e spazio sui mass-media. In Parlamento è maggioritario. Probabilmente i politici che non amano essere dalla parte del perdente (che non significa essere dalla parte del torto, ma…) non si esporranno. Non per questo si deve rinunciare ad un serio confronto…

Cosa accadrà dopo ?
Se prevarranno i “sì” alcuni partiti scompariranno. Non tutti i loro sostenitori si trasferiranno sotto altre bandiere. Non tutti i loro elettori troveranno altri riferimenti. Molti cittadini troveranno la politica meno interessante. Accade già altrove che ad una semplificazione della politica corrisponda un aumento dell’astensionismo. Se democrazia è: “partecipazione”, il proporzionale sembra migliore del maggioritario.
E’ importante che questo referendum costituisca l’occasione sia per riflettere sull’importanza che hanno, in una democrazia parlamentare, i partiti sia per convenire che, alle ragioni della governabilità non è consentito sacrificare tutto.
Per contro il rischio è di una delegittimazione dei partiti, a tutto vantaggio di associazioni che resterebbero riferimenti socialmente forti, ma meno trasparenti dei partiti. E’ importante che l’esito politico del referendum non si trasformi in un: “no ai partiti, sì alle lobby”.


Mario Paganini
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