[...] è necessario avere delle coordinate per rispondere alle domande implicite che ci pone il presente. Ad esempio, siamo sicuri di sapere cosa è davvero il lavoro oggi? Chi è davvero il lavoratore? [...]
Il primo articolo della Costituzione recita che “l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, ma sappiamo cosa significa oggi questo concetto tanto fondante della nostra società da essere richiamato nelle prime righe della Carta?
Il mercato del lavoro è diventato un’intersezione tra l’esigenza di competitività produttiva, intesa come massimizzazione del profitto, e la necessità di un salario per soddisfare i propri bisogni materiali. Un salario che spesso è troppo basso.
Tuttavia, molti preferiscono aggrapparsi a un’occupazione che garantisce un reddito stabile, sacrificando in questo modo anche il proprio benessere immateriale.
Il pericolo di questo circolo vizioso è da una parte il cronicizzarsi dell’infelicità, dovuta all’insoddisfazione, e dall’altra l’imprigionamento in una ricerca estenuante di soddisfazione dei bisogni materiali.
Purtroppo questo dualismo, acuito dalla crescente mercificazione del lavoro, non porta con sé quegli elementi nobilitanti che il lavoro dovrebbe garantire agli esseri umani e favorisce la prevaricazione della sfera lavorativa su quella privata, con conseguenze a volte drammatiche.
Spazi e gesti che fino a ieri appartenevano alla vita privata e al tempo libero oggi sono messi a profitto.
Questo ha fatto sì che i rapporti tra le persone abbiano subito trasformazioni radicali, con processi di “disarticolazione” nelle relazioni sociali, affettive e intime.
È il segno del fatto che molti, per soddisfare le esigenze del proprio lavoro, sottraggono tempo agli affetti, e questa “colonizzazione” costringe il lavoratore, soprattutto le lavoratrici, a dover scegliere inevitabilmente tra carriera e famiglia.
Così come non possiamo affermare che il lavoro “renda nobili”, ossia migliori. Perchè siamo nell’era del lavoro povero, precario, parcellizzato, sottopagato e trasferibile dallo spazio fisico a quello virtuale, che lascia dietro di sé una massa di disoccupati.
Per queste ragoni è necessario restituire al lavoro la dimensione umana, rendendolo strumento di emancipazione e libertà.
Non possiamo interrogarci sul lavoro senza chiederci chi è il lavoratore.
Il lavoratore è prima di tutto un essere umano e non un ‘oggetto’ di compravendita. Bisogna pensare al lavoratore come a una persona, cioè all’espressione di una ‘pluralità di appartenenze’ nella complessità della vita reale. La semplificazione non può ridurre chi lavora a un ‘oggetto’ di lavoro, ossia a “forza lavoro”. Questa semplificazione ha portato da un lato a perdere di vista altre dimensioni plurali e dall’altro ad allontanarli dal sindacato.” [...]
Una sintesi. Tratta da pag. 98 a pag 100
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