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I dubbi di una guerra - Kosovo

A poche centinaia di chilometri dal nostro Paese si sta combattendo una guerra di cui tutti noi, perché informati da giornali e televisione, pensiamo di conoscere sia le motivazioni sia gli obiettivi. Ma è realmente così? In uno spot televisivo, di sostegno alle iniziative umanitarie, alcuni intellettuali dichiarano: “non sappiamo come o quando finirà”, ma una semplice verifica ed una ovvia considerazione fanno riflettere. Infatti i familiari del personale coinvolto nell’evento bellico ha fatto le necessarie prenotazioni, presso le agenzie, e la scadenza per gli alloggi era ed è sempre “luglio 99”. E’, poi, sommamente difficile credere che la N.A.TO. (o gli States) possano perdere una guerra, soprattutto una guerra contro la Serbia.
E’ bene metterlo subito in chiaro: io sono con le popolazioni dei Balcani e contro Milosevic.
Invece molti tra coloro che paragonano, oggi, Milosevic ad Hitler si sono avvalsi, ieri, della sua collaborazione per mettere fine alla vicenda Bosnia Erzegovina. Ricordiamo, infatti, come le comunità serbe, croate e musulmane fossero da tempo distribuite, in tale territorio, a pelle di leopardo. I “grandi” del pianeta decisero che era nell’interesse di quelle popolazioni il concentrarsi, meglio se in pochissime grandi aree etnicamente omogenee. Nessuno ha, però, mai considerato quel trasferimento di 300 mila persone un esodo forzato, evento per il quale fu appunto rilevante il ruolo svolto da Milosevic.
Un aspetto inquietante dell’intervento “umanitario” nel cuore dei Balcani è che, con l’andare del tempo, questa guerra ha acquistato le connotazioni di una “guerra santa” e, demonizzando la controparte, diventa improponibile una qualsiasi soluzione politica. Il bene non può venire a patti con il male, l’unica soluzione praticabile é la capitolazione, l’annientamento del male sul campo di battaglia. Infatti se la controparte é un “macellaio spietato”, un “pazzo sanguinario” o un “criminale di guerra” come si può pensare ad un dialogo o, peggio, ad un accordo?!
Infine domandiamoci: siamo certi che questa guerra porterà più benefici (vite salvate) che costi (vite distrutte)?! Infatti se l’intervento della N.A.T.O. era impedire la pulizia etnica dobbiamo avere il coraggio di riconoscerne il fallimento e dobbiamo anche chiedere conto di ciò ai fautori dell’intervento armato. L’etnia albanese in Kossovo poteva condurre un’esistenza non libera, ma certamente molto più decorosa di quella attuale.
La guerra é l’occasione per una verifica del potenziale tecnico dell’industria militare, quella sempre più innanzi rispetto alle altre, poi beneficiarie. Ogni guerra é un rilevante evento economico, crea e distrugge fortune enormi, ha grandi contraddizioni al suo interno (es. : é occasione per finanziare copiosamente la ricerca scientifica, ma anche le distruzioni sono studiate con rigore scientifico).
Certamente é con guerre come questa che si riesce ad ottenere una “rottamazione” degli arsenali, una giustificazione per il loro ripristino, una spartizione iniqua dei costi che questo genere di operazione comporta e, alla fine di tutto, ancora una volta: chi vince la guerra diventa più potente.
Sbagliando si impara e anche una guerra sbagliata può insegnare qualche cosa.
Anziché una pioggia di missili e di bombe era meglio una pioggia di dollari. Era meglio occupare il territorio con operatori di pace che sapessero insegnare ed educare alla convivenza.
I Balcani sono un prezioso laboratorio che é nell’interesse di tutti preparare quelle genti alla mondialità, alla coesistenza e alla collaborazione tra i popoli. Solo così la diversità cessa di essere un problema e diventa una ricchezza. La sconfitta dei nazionalismi non può avvenire sui campi di battaglia. Certamente la convivenza tra diverse etnie, imposta dai vincitori, incontrerà, almeno all’inizio, numerose resistenze. Anche la nostalgia dei profughi, ospitati nei Paesi dall’opulento benessere, per una terra devastata dalla guerra, potrebbe rivelarsi meno forte del previsto.
In prospettiva l’O.N.U. deve contare di più cessando di essere una organizzazione di Stati per diventare una organizzazione di popoli e ogni Paese dovrà dare un contributo, tagliato dai finanziamenti per gli armamenti (Ministero della Difesa), per la costituzione di una forza di polizia internazionale chiamata ad assolvere compiti impegnativi.
Esiste una Europa economica, ma questa crisi ha messo in evidenza come non esista una Europa entità politica. Questa guerra ha, inoltre, mostrato come esista una cultura politica americana ed una cultura politica europea per la gestione delle crisi. Sostituire la discrezionalità della forza ad un diritto internazionale valido per tutti è un passo indietro. Come europei occorre, allora, impegnarsi per acquistare un maggior peso. Facciamolo in fretta.


Mario Paganini
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