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Dieci ragioni per votare NO al Referendum del 4 dicembre

Dieci ragioni per votare “NO” al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Le indico considerando contesto, metodo e merito del problema. Il contesto è riassumibile osservando che è in atto, da tempo, un globale processo di sottrazione di democrazia ai popoli e di concentrazione del potere nelle mani di un manipolo di speculatori e di politici collaborazionisti. La riforma “Renzi-Boschi” è necessaria all’attuazione del progetto di concentrazione del potere. Perciò i potentati finanziari globali hanno ammonito il popolo italiano, dicendo che con la vittoria del Sì ci saranno investimenti e crescita, con quella del No ci sarà la paralisi del Paese e la fuga degli investitori.
Le ragioni di merito per votare “NO” sono le seguenti:
1 – La riforma senza motivo nega ai cittadini la facoltà di eleggere i membri del Senato, ma nel contempo attribuisce a esso funzioni legislative comunque decisive, tra cui quella di una eventuale revisione costituzionale.
2 – La riforma punta a una governabilità senza rappresentatività. Vede i cittadini e il Parlamento come un intralcio e s’inventa l’esigenza di dare ancora più potere a chi governa, quando in realtà i governi più recenti, compreso l’attuale, hanno deciso senza problemi le missioni militari all’estero, i tagli alla Sanità, all’Istruzione e alla Ricerca, la riforma Fornero, l’inserimento del “pareggio di bilancio” nella Costituzione, la “Buona Scuola”, il Job’s Act e magari tra poco il Ponte sullo Stretto. Con la riforma chi governera non avrà istanze di controllo sul suo operato.
3 – La riforma riduce le prorogative del Parlamento (soprattutto delle opposizioni) e, nell’incastro con la riforma della Legge Elettorale, muta genericamente la forma di Governo, introducendo una sorta di Presidenzialismo estremo.
4 – La riforma prevede che i Senatori sarano nominati tra i Consiglieri Regionali o i Sindaci, con l’esorbitante pretesa che siano capaci di svolgere bene e simultaneamente funzioni così impegnative. Attribuisce a questi Senatori, nominati dai capi-partito e non dai cittadini, l’immunità parlamentare. I costi di questa struttura si annunciano non inferiori a quelli attuali.
5 – La riforma riduce competenze e autonomia delle Regioni, liquidando il decentramento. Con ciò il Governo impedisce la realizzazione di una vera riforma che coordini la rappresentanza tramite Partiti alla Camera, con la rappresentanza per comunità territoriali al Senato.
6 – La riforma, anzichè semplificare il funzionamento del Senato, lo complica prevedendo almeno sette tipologia diverse di votazione delle Leggi.
7 – la riforma modifica completamente la Seconda Parte della Costituzione, che configura criteri e procedure per attuare la Prima Parte, riferita ai principi fondamentali della vita democratica. In questo modo, di fatto, compromette anche la Prima Parte.
A queste ragioni di merito ne vanno aggiunte altre tre di metodo:
8 – la riforma scaturisce da un colpo di mano della maggioranza , in pratica della maggioranza del Partito Democratico (nemmeno di tutto il partito): si vuole riformare la Costituzione con un metodo anticostituzionale e antidemocratico, senza costruire un necessario consenso più ampio ed espresso dalle diverse parti politiche.
9 – La riforma scaturisce sia da un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 2014, che dichiarò illegittimo il sistema elettorale con cui è stato formato, sia da un Governo scaturito da giochi di Palazzo. Quindi il soggetto proponente non ha la legittimità giuridica, l’investitura democratica e l’autorità morale per avviare una riforma della Costituzione.
10 – La riforma verrà votata al referendum con una scheda dove la formulazione del quesito rispetto a cui rispondere è tendenziosa. Infatti induce l’elettore a votare “Sì” perchè il testo descrive non in modo neutro, ma come obiettivi positivi i punti della riforma.
Ecco perchè votare “NO” è un atto costruttivo che sventa un pericolo grave e può favorire il rilancio della democrazia italiana.


Articolo di Roberto Mancin. Pubblicato sul n. 187 di Altreconomia 2016
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