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Il passaggio necessario per rendere umana l’esistenza e trovare soluzioni ai tanti problemi.

Ripartire dall’etica: ecco il passaggio necessario per rendere umana l’esistenza e trovare soluzione alle contraddizioni storiche che gravano sul presente e sul futuro. Immaginate la società, su scala nazionale e mondioale, come una casa. Una casa che va ricostruita con pazienza e con saggezza, soprattutto con la longimiranza di chi crede nella vita e perciò si impegna a trovare uno spazio adeguato per i viventi, gli esseri umani e le altre creature. Il primo passo è trovare un terreno affidabile. Ecco la funzione storica dell’etica: offrire un fondamento sicuro che impedisca di franare nel disumano, nella prevaricazione e nell’iniquità. Ma che cosa custodisce in sé la parola “etica”? Se la intendo semplicemente come teoria morale, o come un elenco di regole, la faintendo. L’etica che può fare da fondamento alla società planetaria è un incrocio di relazioni essenziali. E poi è una forza capace di motivare le persone ad agire. Essa inizia lì dove sperimentiamo la relazione con un Bene che ci precede, illumina la coscienza e ci dà un orientamento per disitinguere ciò che è nocivo e ciò che è creativo. Non è una rappresentazione di ciò che è buono secondo le nostre convenienze. Si tratta invece dell’incontro con una Fonte che motiva a tradurre ciò che è bene per la vita delle persone e del mondo.
L’incontro ci lascia una traccia, una linea interiore di confine: oltrepassarla o ignorarla significa dare corso al disprezzo di noi stessi ed a qualche violenza a danno degli altri. Non è importante in primo luogo chi o che cosa sia questa Fonte: qualcuno la chiama Dio, altri la chiamano dignità umana, Kant la chiama legge morale. L’importante è che la Fonte affida a tutti lo stesso compito, più alto delle identità particolari (riferite a nazione, classe sociale, genere, ideologia, religione) spesso usate proprio per misconoscere chi ha un’altra identità. Ci è chiesto di aderire al bene, sviluppandolo in ogni situazione e cercando sempre alternative alla violenza. Parlo di un incrocio di relazioni perchè la scoperta della Fonte interiore non basta: l’incontro è valido solo se ne traduco l’effetto nelle relazioni con gli altri e con la natura. L’autentica partecipazione a tale intreccio di relazioni si coglie nel fatto che troverò in me un’energia mite e creativa per attuare quanto la coscienza mi indica.
Il nostro problema è quello di promovere la maturazione etica delle persone e delle istituzioni, senza la quale nessuno ha futuro. In Italia le conseguenze di tale mancanza sono palesi: dal comportamento stradale a quello fiscale, la semplice idea del rispetto degli altri spesso è un’entità misteriosa; figurarsi quanto, in proporzione, risulti arduo far crescere la democrazia quotidiana e generare un’altra economia. Diventa evidente il ruolo fondamentale delle istituzioni di prossimità che segnano la formazione della personalità di ognuno sin dai primi anni di vita: penso alla famiglia e alla scuola, poi alle comnità locali, a quelle religiose e alle associazioni di base. Il loro primo insegnamento riguarda la vita etica. Esse non devono indottrinare i piccoli con le nozioni delle etiche particolari, tipiche delle identità esclusive. Questo lo fanno anche i violenti, quelli che trovano buone ragioni per perseguitare gli altri. Le istituzioni di prossimità devono formare all’etica umana: al senso della dignità indissolubile che lega tutti e all’impegno verso il bene comune senza esclusioni.
Il dibattito sull’attentato di Parigi contro la redazione di “Charlie Hebdo” si è svolto attorno alla condanna o all’assoluzione della religione, sostenendo che essa porta al fanatismo o al contrario affermando che i fanatici non hanno alcun rapporto con la religione autentica. A me pare semmai che ogni religione sia di per sé ambigua, genera nel suo seno santi e criminali, persecutori e perseguitati. La vera differenza non passa tra cristianesimo e islamismo, tra una religione e un’altra, passa per il confine dell’etica. Non c’è tempo per scoraggiarsi o lasciarsi instupidire dalle banalità dei dibattiti televisivi, bisogna ritrovarsi su quel confine e lavorare, lì dove siamo, per realizzare le conseguenze economiche e politiche della maturazione della coscienza. Credo che le associazioni e gli organismi dell’altra economia devono interrogarsi su quale sia la loro comprensione di un’etica universalmente umana e su quali modi possono assumere per renderla incisiva, così da restituire libertà e speranza, anzitutto a quanti pagano il prezzo della distruzione della coscienza nella società di mercato.


Articolo di Roberto Mancini. Pubblicato sul n. 168 di Altreconomia 2015
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