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  IL TACCUINO DI MARIO  
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Il silenzio, il cuore e l’eterno

Il deserto di Giuda, in Terra Santa (per inciso, noto che è un brutto e poco libero mondo quello nel quale usando una parola, anziché un’altra, si può essere etichettati come pro o contro un popolo, quello Israeliano o quello Palestinese...) molti lo immaginano con dune e una sabbia simile a quella delle nostre spiagge di Romagna.
Per me, invece, assomigli tanto ad alcune zone brulle e con calanchi del nostro Appennino, dove, però, al posto della sabbia, ci sono colline di stabilizzato, una mescola, divenuta di uso comune in molti piazzali e, quindi, ora a tutti nota.
Se il Creatore è anche misericordia, non lo è di certo tutto ciò che è stato da Lui creato. Il deserto è l’esaltazione della perfezione. Nel deserto qualsiasi piccolo errore od inefficienza si … paga sempre a caro prezzo. Fortunatamente, con i mezzi moderni e le strade ben tenute, è possibile addentrarsi ed uscire dai deserti velocemente e, nello specifico per quel deserto, in poche ore.
Nel deserto di Giuda c’è vita. Bisogna saperla scorgere, volerla vedere. Notte tempo il vento aveva portato gocce di pioggia. Quell’umidità era sufficiente ad alcune piccole piante per tentare l’avventura. Poi, tra le piante e le pietre, molti insetti passavano veloci. Naturalmente pecore e capre con gli immancabili pastori, sulle cime circostanti. Anche i somarelli ed i cammelli attendevano rassegnati, sotto il sole cocente, qualche intrepido turista.
Nel deserto senti il vento. Magari non lo avevi mai notato, ma anche il vento fa un suo rumore. Anche quanto sembra non esserci alcuna bava o brezza “senti” qualche cosa.
Il deserto porta alla riflessione, alla meditazione. All’ascoltare quello che hai dentro. Più che la mente, dopo poco, ti accorgi che a parlare è anche il tuo cuore. È una esperienza nuova soprattutto per chi ha sempre avuto una cieca fiducia nel proprio raziocinio e verso tutto ciò che è stato prodotto dalla “ragione”. È una sensazione stranissima. Hai la testa piena di passaggi logici, di formule. Poi, all’improvviso, ti accorgi che ne esisteva ancora una a te sconosciuta: occorre credere per comprendere ed occorre comprendere per credere.
Gli altri pellegrini sono assorti. È una esperienza, la meditazione nel deserto, che per ovvie ragioni di sicurezza è fatta in gruppo, ma in quei momenti si diventa capaci di isolarsi da tutto e da tutti.
Ciascuno si rende conto di essere una parte infinitesimale di un tutto.
Eppure quel tutto, quel deserto attorno a noi, esiste ed ha un significato, proprio perché lì, in quel momento, ci sono uomini e donne che si interrogano.
Il deserto dà l’idea dell’eterno. Cogli qualche smottamento, ma - nella sostanza - è insignificante. Tutto è rimasto uguale a prima. Sembra che il tempo scorra, ma inutilmente. Comunque non per questo rinnego il mio “evoluzionismo”... Papa Leone XIII colse nel “Big Bang” la prova dell’esistenza di Dio. Sbagliò. Come oggi sbaglia chi pensa si possa dimostrare che Dio non esiste, ricorrendo alla Scienza o alla Fisica. Queste ultime coesistono con la Fede, ma sono autonome.
Quegli uomini, dalla lunga tunica, a fianco dei somarelli o dei cammelli, da almeno due mila anni, sono sempre uguali. Così come quel monastero, dalle pareti bianche, sfida da secoli uno scosceso dirupo.
Per scuoterti dal disagio, per recuperare la dimensione del tuo tempo, del tempo a cui tu appartieni e in cui vivi, devi affannarti a cercare qualche cosa che possa tranquillizzarti, che possa farti riportare con i piedi per terra.
Evidentemente la meditazione, il misticismo non sono per tutti. Quasi con un sospiro noti, sul tetto del monastero, una pannello fotovoltaico. Così come i mercanti, i pastori ed i mandriani usano con disinvoltura il cellulare che hanno in mano e ti danno la quotazione delle loro mercanzie nella valuta che ancora tieni, diffidente, ben stretta.
Don Felice Marchi ora non ha il berretto giallo, dell’Azione Cattolica, che si era rivelato un “comodo” punto di riferimento per molti, ma la “kafia” arabo-palestinese. È vicino alla sommità di un cucuzzolo.
Sergio Melandri è molti metri più sotto. Volge lo sguardo attorno a sé. Osserva gli altri in meditazione, poi la sua macchina fotografica.
Meno male che c’è anche qualcuno che si premura di “fissare” certi ricordi!


di Mario Paganini
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