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La famiglia ed il privato

I nostri nonni hanno duramente sofferto, ma in molti si sono rimasti una casa. I nostri genitori hanno lavorato sodo, combattuti tra gli insegnamenti familiari, che invitavano al risparmio, e gli assillanti appelli della pubblicità, che invitavano al consumo, ma quasi tutti sono riusciti a mettere qualche cosa da parte. Inoltre uno stretto controllo delle nascite ha reso tutto più facile. Meno bocche da sfamare: più risorse per chi già c’è. Il massimo del godimento, poi, poteva essere facilmente raggiunto quando ...le bocche da sfamare non esistevano affatto!
Ora i nostri figli o, più in generale, i giovani, ci guardano e ci interrogano. Che cosa gli possiamo dire? Quali insegnamenti e testimonianze siamo in grado di dare? E che cosa lasceremo loro in eredità?
Volendo le risposte potrebbero essere mutuate da alcune riflessioni di Dario Olivero (la Repubblica 19/08/2011): “Lo scenario è fin troppo evidente a tutti. Il mercato ha vinto su ogni cosa, la politica si è ridotta a specchio della finanza. Non si produce, si scommette. Non si progetta, ci si indebita. Non si assume, si affitta. Non si costruisce, si rimanda. Non si spera, si consuma. Tutto già detto, tutto già scritto. Tutto finito. Il campo di battaglia è vuoto. Nessun sol dell’avvenir risplende all’orizzonte. Nessuno spettro si aggira per l’Europa. O no?”
Ancora una volta la famiglia è la valvola di sfogo, lo stabilizzatore sociale dei tempi tormentati che stiamo vivendo.
Ma fino a quando sarà possibile ciò? Le famiglie avranno energie e risorse infinite? Purtroppo, no!
Riflettiamo su alcune questioni di attualità. Lasciare il lavoro a settant’anni, significa: non dare occupazione ai giovani e, forse, anche una riduzione qualitativa e quantitativa dei prodotti o dei servizi offerti. Come direbbero loro signori: andremo verso “minor efficienza e minor produttività” del sistema.
Non solo, ma in Italia occorre tener presenti anche altri due fenomeni o, potremmo chiamarli: due stili di vita tipici, e cioè: l’arte di arrangiarsi e uno Stato sociale non particolarmente brillante ed efficiente.
Fino ad oggi, un ciclo generazionale durava venti, più spesso, trent’anni.
Guarda caso coincideva (quasi) con la durata lavorativa. Una generazione si prendeva, via via sempre di più, cura dell’altra. Nonni giovani si prodigavano (moltissimo) per i nipoti. Poi, un giorno, i figli e (un poco) anche i nipoti collaboravano ed accudivano i genitori ed i nonni nelle loro necessità.
Oggi questo meccanismo si è già parzialmente fermato. E il fenomeno delle migliaia di “badanti” lo rende manifesto.
Maggiore lavoro (precarietà, mobilità, flessibilità, ecc.), maggiore stress (procurato dai ritmi del lavoro e della vita), minor reddito e maggiori imposte sono tutti, di per se stessi, una grave minaccia per la famiglia.
Un ciclo generazionale, articolato su di una normalità pari a quarant’anni, rappresenta, in assenza di servizi o di valide alternative, la fine della famiglia tradizionale. Inoltre forme di convivenza, più o meno stravaganti e innaturali, possono contribuire a non realizzare immediatamente quanto sta per accadere, distraendo tante persone in buon fede o fornendo coperture ideologie e filosofiche indegne.
Altra valvola di sfogo alla crescente povertà: le ...riscoperte forme di redistribuzione del reddito tra privati. Ne sono esempio: gli scambi di lavoro prestati nella semi-clandestinità; le economie occulte e parallele, frutto di rapporti umani o di relazioni di buon vicinato, con la cessione (gratuita o quasi) di capi di abbigliamento, di generi alimentari, ecc.
Poi, come sempre, quando non c’è “la luce del sole” e la voglia di contrastarle, l’illegalità può trovare un terreno fertile.
Le vicissitudini e le traversie per ottenere un posto di lavoro, i lacci ed i laccioli del mercato del lavoro, le “raccomandazioni” per una progressione sul posto di lavoro, queste sono tutte cose arcinote.
Così come le tante forme di condizionamento, di estorsione e di ricatto, che però sfuggono alle statistiche ufficiali. Tant’è che si finisce con il rassegnarsi ai furti ed alle rapine, nonostante i proclami di quanti sono chiamati a gestire la cosa pubblica.


Mario Paganini
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