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Famiglia e unioni di fatto

La famiglia, per i cristiani, è una istituzione divina. I cristiani, infatti, professano che Dio è creatore di tutte le cose, tra queste una assurge ad un valore supremo: l’uomo. Non solo, ma l’uomo è stato generato ad immagine e somiglianza di Dio medesimo, pertanto l’uomo ha un esclusivo rapporto con Dio: quello figliale. La più bella preghiera cristiana inizia, infatti, con le parole “Padre nostro…”. Dio ha creato l’uomo maschio e femmina affinché questi, con la loro unione, fossero a loro volta generatori di vita e, quindi, partecipi al progetto della creazione. Dunque per un cristiano la famiglia è una cosa molto seria.
Chi non è cristiano vede nella famiglia una istituzione come tante altre. Quando, poi, dominano “consumismo” e “relativismo” anche la famiglia, per qualcuno, diventa un bene di consumo governato da regole deboli.
Per dialogare è necessario un linguaggio comune.
Essendo a tutti noto cosa sia, per i cristiani, la famiglia é auspicabile (e certamente più utile) che, quanti propugnano modelli di convivenza diversi dalla famiglia si facciano carico di utilizzare un termine diverso.
Si potrà, ad esempio, parlare di “unioni di fatto”.
Qualche politico affronta la questione: “famiglia” e “unioni di fatto” mosso dal sincero desiderio di risolvere alcune situazioni, ma con l’illusione che lo strumento idoneo sia la razionalizzazione. Questi politici, abbagliati dalla propria buona volontà (essere certi di saper trovare una soluzione ad un problema), dalla propria cultura (essere certi di avere la saggezza e la conoscenza necessarie per individuare la giusta risposta), dal proprio spirito democratico (essere certi di operare in modo che tutti ne traggano giovamento) e dalla propria tolleranza (essere certi che tutte le idee sono ugualmente valide), approdano ad una semplificazione terribile: qualsiasi unione è possibile e, per ciò stesso, lecita. Pertanto: esiste un grande insieme, che è quello delle “unioni”, dentro il quale trovano un loro spazio “le famiglie” ossia “unioni di fatto” caratterizzate da un rituale pubblico particolare e sicuramente impegnativo.
Uno Stato “laico” ed una classe politica possono decidere di risolvere situazioni particolari, tutelare minoranze o riconoscere ruoli. Ma uno Stato “laico” ed una classe politica devono, in primo luogo, dare regole certe e garanzie adeguate a tutti. Diversamente avremo che la diversità diventa un privilegio, mentre la normalità un handicap.
Occorre, allora, mettere in fila le questioni e le soluzioni.
I riferimenti a norme adottate in altri Paesi risultano, indubbiamente, di grande stimolo per una approfondita riflessione, ma la nostra Carta Costituzionale è (e deve restare) il principale riferimento. Questa Carta è un “patto” (nel senso alto e nobile del termine) “sociale”, è il risultato dell’incontro di diverse culture e tradizioni che, in una situazione eccezionale, hanno saputo trovare un accordo e definire un progetto.
Nella Costituzione sono contenuti numerosi riferimenti alla famiglia, al matrimonio, ai genitori, ai figli, al lavoratore e alla donna lavoratrice.
Particolarmente chiaro è il significato della norma con la quale la Repubblica italiana “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. E’, poi, opportuno ricordare il dettato della Costituzione italiana che afferma: “La Repubblica agevola, con misure economiche e altre provvidenze, la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”.
Il principale impegno, dunque, deve essere per risolvere, finalmente, i problemi del quotidiano.
E’ ora che la società civile riconosca di più a chi fa di più per la società civile; è una elementare questione di giustizia.
Inoltre si deve sempre procedere tenendo in considerazione elementi certi e noti, perché trasparenti, verificabili e pubblici.
E’ incalcolabile il contributo che le famiglie danno alla vita sociale, facendosi carico di gravi difficoltà, quali la diffusa disoccupazione giovanile e le carenze del sistema previdenziale e sanitario; tuttavia alle famiglie viene dato ben poco aiuto. Ne sono eloquente esempio la frammentaria legislazione e le difficoltà con cui questa trova, poi, attuazione.
Similmente politiche di “splitting” (ossia di ripartizione dei costi e dei benefici, in funzione del numero dei componenti) tardano ancora a rendersi concrete: nessun intervento a livello centrale e nessun intervento a livello locale.
Che dire su quanto riservato al più debole, in assoluto, ossia al concepito?! Il concepito, che pure esiste, ha pochi diritti e, se in conflitto con quelli di altri, ha regolarmente la peggio. E il “…pubblico” (inteso sia come lo Stato, sia come la collettività) assiste o passivamente o parteggiando per il più forte.
Sarebbe più facile intervenire, con coraggio e con unità di intenti, a sostegno di quella che la grandissima maggioranza degli italiani considera, ancora oggi, la risorsa più preziosa e più importante di cui una nazione dispone: la famiglia.
Di alcune iniziative non si percepiscono bene né le caratteristiche specifiche, né le ragioni che inducono a dedicarvi tante energie. Sono proposte molto sfumate, talvolta … fumose. Ad una apparente chiarezza verbale non corrisponde un reale approfondimento sostanziale.
Qualche esempio. E’, poi, così fondato e comunemente accettato che una unione di fatto eterosessuale sia identica ad una unione omosessuale?! E, in concreto, quali benefici comporta l’acquisizione dello status?! Una unione di fatto ha qualche limite, ad esempio: numerico?! Una unione di fatto ha qualche requisito minimo, ad esempio: degli studenti universitari sono una unione di fatto?!
Le scarse argomentazioni prodotte inducono a ravvisare, in questa come in altre circostanze, un episodio del preoccupante attacco che si sta sviluppando, sia a livello culturale sia nell’ambito politico, legislativo e amministrativo contro la famiglia.
E’ un attacco che sta cominciando ad avere effetti deleteri sulla vita sociale.


Mario Paganini Cons. Comunale PPI
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