Articolo Nr.92
del 12/06/2011
L'uomo che ha fottuto un intero paese.

"Avrebbero fermato (!), alla dogana di Fiumicino, i pacchi contenenti il settimanale The Economist, per accertamenti (?). Come atto di ... riparazione collettiva, di seguito ne fornisco una mia traduzione. Ricordo, poi, che The Economist ha il copyright ..."
I RECORD DI SILVIO BERLUSCONI. L'UOMO CHE HA FOTTUTO UN INTERO PAESE. L'ERA DI BERLUSCONI TORMENTERA' L'ITALIA NEGLI ANNI A VENIRE
- Silvio Berlusconi ha molto di che sorridere. Nei suoi 74 anni, ha creato un impero mediatico che lo ha reso l'uomo più ricco d'Italia. Ha dominato la scena politica dal 1994 e ora è il Presidente del Consiglio più longevo d'Italia dopo Mussolini. Berlusconi è sopravvissuto a innumerevoli previsioni circa una sua imminente dipartita. Eppure, nonostante i suoi successi personali, è stato un disastro come un leader nazionale per tre motivi.
- Due di questi motivi sono ben noti. Il primo è la sudicia saga delle sue feste sessuali o "Bunga Bunga", una di queste ha dato origine allo spettacolo poco edificante di un Presidente del Consiglio messo sotto processo, a Milano, con l'accusa di aver pagato una minorenne per fare sesso. Questo processo noto come Rubygate non ha infangato solo Berlusconi, ma anche il suo Paese.
- Ma poiché il vergognoso scandalo sessuale, nel giudizio su Berlusconi come uomo politico, ha avuto un impatto limitato, The Economist ha in gran parte ignorato tale scandalo. The Economist tuttavia ha a lungo protestato per il suo secondo difetto, ossia: i suoi imbrogli finanziari. Nel corso degli anni, è stato accusato, per più di una dozzina di volte, di frode, di falso in bilancio o di corruzione. I suoi difensori sostengono che non è mai stato condannato, ma questo è falso. In diversi casi è stato condannato, solo che le condanne sono state annullata in quanto i bizantinismi dei procedimenti hanno portato alla prescrizione dei termini, con il superamento del tempo massimo consentito per fare giustizia. In almeno altre due circostanze [non si è arrivati ad una sentenza] perché lo stesso onorevole Berlusconi ha cambiato le leggi. Ecco perché The Economist ha affermato, già nell'aprile del 2001, che lui non era adatto a governare l'Italia.
- The Economist non ha alcun motivo per cambiare quel giudizio. Ma è ormai chiaro che, né le poco raccomandabile abitudini sessuali, né i dubbi sugli affari siano stati, per gli Italiani, la ragione principale per ripensare e per considerare Berlusconi come un disastro, o peggio, un vero fallimento. Infatti di gran lunga peggiore è stato terzo motivo: il suo totale disprezzo per le condizioni economiche dell’Italia. Forse a causa delle distrazioni conseguenti i procedimenti legali, nei quasi nove anni in cui è stato Presidente del Consiglio ha fallito nel porre rimedio (o anche nel riuscire a comprendere) le gravi carenze economiche dell’Italia. Come risultato, si lascerà dietro di sé un Paese in gravi difficoltà.
- È STATA UNA MALATTIA CRONICA, NON UNA MALATTIA ACUTA
- Questa fosca conclusione potrebbe sorprendere chi studia la crisi dell'euro. Grazie alla rigorosa politica di bilancio del Ministro delle Finanze di Berlusconi, Giulio Tremonti, l'Italia è finora sfuggito all’ira dei mercati. L'Irlanda e non l’Italia, è la I della parola PIGS (Portogallo, Grecia e Spagna). L'Italia ha evitato la bolla immobiliare, le banche dell’Italia non sono fallite. L'occupazione ha resistito: il tasso di disoccupazione è dell'8%, rispetto ad un oltre il 20% della Spagna. Il disavanzo di bilancio nel 2011 sarà al 4% del PIL, contro il 6% della Francia.
- Eppure questi numeri rassicuranti sono ingannevoli. La malattia economica dell’Italia non è il tipo acuto, ma è una malattia di tipo cronico, che ne corrode lentamente la vitalità. Quando le economie europee regredivano, l’Italia regrediva di più: quando loro crescevano, l’Italia cresceva di meno. Nello speciale rapporto, pubblicato da The Economist di questa settimana, viene fuori che, nel decennio fino al 2010, solamente lo Zimbabwe e Haiti hanno avuto un crescita del PIL inferiore a quella dell’Italia. In realtà il PIL pro capite in Italia è sceso. La mancanza di crescita significa che, nonostante Tremonti, il debito pubblico è ancora al 120% del PIL, ossia è, per grandezza, il terzo tra i Paesi ricchi. Ciò è tanto più preoccupante dato il rapido invecchiamento della popolazione italiana.
- La bassa percentuale di disoccupazione nasconde alcune variazioni sottili. Un quarto dei giovani (ma sono molti di più in alcune zone depresse del Sud Italia) sono senza lavoro. Il tasso di partecipazione femminile della forza lavoro è del 46%, il più basso in Europa occidentale. Un mix di bassa produttività e alti salari sta erodendo la competitività: mentre la produttività è aumentato di un quinto in America e di un decimo in Gran Bretagna (nel decennio fino al 2010), in Italia è scesa del 5%. L'Italia è all’80mo posto nella classifica "Doing Business" della Banca Mondiale, dietro la Bielorussia e la Mongolia, e al 48emo posto nella classifica per la competitività del World Economic Forum, dietro l'Indonesia e le Barbados.
- Il Governatore uscente della Banca d'Italia, Mario Draghi, in un incisivo discorso di addio (prima di prendere in mano le redini della Banca Centrale Europea) ha parlato fuori dai denti. Draghi ha insistito sul fatto che l'economia ha disperatamente bisogno di grandi riforme strutturali. Le ha individuate nella produttività stagnante, ha attaccato le politiche del Governo che "non riescono ad incoraggiare, e spesso ostacolano, lo sviluppo [dell’Italia]", come i ritardi nel sistema della Giustizia civile, la povertà delle risorse destinate all’Università, la mancanza di concorrenza nei servizi pubblici e privati, un mercato del lavoro su due livelli: uno protetti per i dipendenti e uno non protetto per tutti gli altri e le pochissime grandi imprese.
- Tutte queste cose stanno iniziando ad influenzare la qualità di vita, giustamente acclamata, dell’Italia. Le infrastrutture stanno diventando sempre più sciatte. I servizi pubblici sono stiracchiati. L'ambiente è in sofferenza. I redditi reali sono, nel migliore dei casi, stagnanti. I giovani italiani più ambiziosi stanno abbandonando il loro Paese, in massa, lasciando il potere nelle mani di una elite anziana, che ha perso ogni contatto [con la realtà]. Pochi europei disprezzano i loro viziosi politici tanto quanto gli italiani.
- EPPUR SI MUOVE
- Quando The Economist ha denunciato Berlusconi, molti imprenditori italiani hanno risposto che solo la sua furbizia, la sua faccia tosta imprenditoriale potevano offrire qualche possibilità quanto ad una modernizzare dell'economia. Ora nessuno lo afferma. Invece essi avanzano la scusa che la colpa non è sua, ma è dell’Italia che sarebbe un Paese non riformabile.
- Eppure l'idea che un cambiamento, in Italia, sia impossibile, non è solamente fare del disfattista, ma è anche sbagliata. A metà degli anni 1990 i Governi italiani che si sono succeduti, temendo di essere lasciato fuori l'euro, hanno saputo realizzare alcune riforme impressionanti. Anche Berlusconi, di tanto in tanto, è riuscito a realizzare alcune misure di liberalizzazione, mentre lottava con i tribunali: nel 2003 la legge Biagi, sul mercato del lavoro, ha raggiunto il traguardo, aumentando l'occupazione, e molti economisti hanno [anche] lodato la riforma delle pensioni italiana. Berlusconi avrebbe potuto fare molto di più se avesse usato il suo vasto potere e la sua popolarità, per fare qualcosa di diverso dal tutelare i propri interessi. Per i suoi piaceri gli imprenditori italiani dovranno pagare un caro prezzo.
- E se i successori di Berlusconi saranno altrettanto negletti? La crisi dell'euro sta obbligando la Grecia, il Portogallo e la Spagna a far passare delle riforme enormi che hanno provocato delle proteste popolari. Nel breve periodo, queste [riforme] fanno male, nel lungo periodo, essa dovrebbero dare alle economie secondarie nuova energia. Alcuni Paesi dovranno anche ridurre l'onere del debito attraverso la sua ristrutturazione. Un’Italia non riformata e stagnante, con un debito pubblico fermo ad oltre il 120% del PIL, finirebbe con l’essere, nella zona dell’euro, il concorrente che parte dalla posizione più svantaggiata. Il colpevole? Berlusconi, che - senza dubbio - sorriderà ancora.


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