Articolo Nr.78
del 29/01/2011
Ci sono ben altre patate bollenti

Ci hanno pensato prima gli operai di Pomigliano d’Arco (Napoli) e poi gli operai di Mirafiori (Torino), con “i referendum", a riportarci con i piedi per terra. E lo hanno fatto con due parole: “occupazione” e “sviluppo”. Oggi la perdurante crisi ci interroga. Per molto tempo, in tanti, ci si era strastullati con l’idea (tragicamente falsa) che lo sviluppo globale sarebbe coinciso con il trasferimento (la c.d. de-localizzazione), ad altre parti del pianeta e ad altri popoli, di talune incombenze. All’Occidente spettavano: la “finanza”, la “creatività” e la guida. Non è stato così, perché così non poteva essere. Altri popoli hanno già messo in atto dei correttivi. Gli Stati Uniti, la Germania, la Francia, la Svezia hanno posto nuova attenzione all’agricoltura e all’industria. Hanno la quasi autosufficienza per la prima, mentre qualsiasi bene industriale è prodotto in quantità anche dentro i confini del Paese. Gli interscambi debbono esserci, ma non ci sono più, tra i grandi Stati, Paesi che rinunciano a qualche cosa per specializzarsi, esclusivamente, nella produzioni di taluni beni o servizi.
Dunque ci sono i nostri operai, eredi di due secoli di lotte e di una Storia che ha visto qualche rivoluzione, con la loro dignità. Ed è nel nome di quel rispetto che è dovuto a ciascuno se hanno saputo affrontare, con coraggio, una scelta drastica: “qui comando io; prendere o lasciare”.
Non è questo il modo. Si può essere forti e dimostrare di non essere affatto manager, né grandi né geniali. Troppo facile mettere in concorrenza, oggi, un operaio italiano con un operaio indiano o cinese. Non lo avrebbero fatto i vecchi capitani d’industria. Altri tempi, quelli, e … altri uomini. Loro sapevano che chi lavorava faceva fatica e sapevano che la fedeltà andava riconosciuta e premiata. Ci sono stati manager che hanno voluto realizzare forme di assistenza aziendale (dagli asili alle colonie estive) e di formazione (istruzione) per i loro dipendenti, senza scalfire più di tanto gli utili.
Ma perché gli operai di Pomigliano e di Mirafiori hanno messo a repentaglio il posto di lavoro? Dire “no” e, poi, come fare a pagare le utenze, il mutuo, il dentista? Ed ancora: “no” a che cosa? Infatti sono stati in tanti coloro che, su dei pre-giudizi, hanno espresso i loro giudizi. Ad esempio: i mass-media hanno parlato di “assenteismo”e di “scarsa produttività”. Ma, con grande disinvoltura, il primato degli scioperati e degli oziosi è stato trasferito da un luogo all’altro, prima erano ”i soliti napoletani” ad essere vagabondi, poi - ad essere dei lavativi - erano diventati i torinesi! Tutti hanno detto la loro sul lavoro svolto da altri. Ma pochi si sono informati, hanno letto o verificato. Lavorare in catena di montaggio è indubbiamente usurante. Occorre … rincorrere il pezzo. Ridurre o togliere delle pause significa, nel tempo, incorrere in possibili malattie professionali. È il fisico che impone di … staccare ogni tanto, per “pochi maledetti minuti”. Non è possibile tenere ininterrottamente il ritmo per 10 ore. Oppure, tra qualche anno, a carico della collettività ci saranno altri oneri di natura assistenziale. Preoccupa, poi, la novità che vuole le regole scritte da una sola parte ed accettate (subite) dall’altra. Le regole generali (tra queste, le condizioni per avere una rappresentanza interna all’azienda) debbono essere sempre concordate tra le parti. Chi rappresenta i lavoratori deve essere, possibilmente, uno di loro e scelto da loro. Sorgono perplessità quando a farsi carico dei problemi interni di un’azienda possa essere qualcuno nominato dall’esterno e indicato dalle sole organizzazioni sindacali firmatarie di accordi anomali.
Inoltre si continua su una brutta logica: si privatizzano i profitti mentre i costi e gli oneri si trasferiscono allo Stato. Infatti, in attesa che gli investimenti diano lavoro e frutti, la collettività continuerà a farsi carico del pagamento della cassa integrazione.
Allora, se ovunque le grandi industrie si appoggiano alla collettività, anche gli Stati debbono avere un qualche ruolo nelle scelte delle grandi industrie.
Nel caso Fiat, nessuno è intervenuto alla luce del sole. Non la proprietà (la famiglia Agnelli e gli azionisti di maggioranza), non i grandi Partiti (compresi quelli di sinistra) e neppure il Governo.
È quest’ultima l'assenza più grave. Fatta eccezione per le occasionali esternazioni di qualche Ministro è mancata totalmente, in questi ultimi anni, una politica industriale.
Sembra che, in Italia, non ci sia più alcun disegno strategico, alcun progetto di grande respiro. Niente.
Il Brasile negli ultimi 10 anni ha fatto miracoli. C’è chi, ora, teme il bis con la Turchia. E noi, in Italia che cosa stiamo facendo?!
Forse qualcuno ancora pensa che “bisogna lasciar fare al libero mercato”? Ma sono in tanti ad affermare, invece, che l’attuale crisi economico/finanziaria è conseguenza di un mercato lasciato troppo libero e senza regole!
Ecco, allora, che cosa occorre: rimboccarsi (tutti) le maniche e (tutti) darsi da fare! Responsabilmente, ciascuno faccia del proprio meglio ed agisca per il bene di tutti.
Occorre essere capaci di pensare in grande e per grandi riforme; ascoltando ed accettando il contributo di tutti. Poi occorre fare delle scelte, per il bene del Paese.
Quanto incide, oggi, il costo del lavoro sul totale del prodotto finito? Diceva “qualcuno”, che invece ora rincorre gli spiccioli, dal 5 al 7%. Siamo seri: è proprio essenziale cogliere quel 2% di differenza tra un Serbo ed un Italiano?! Oppure è opportuno lavorare di cesello sul 95 – 93% rimanente?!
Ed il rimanente (che è un quasi tutto) si chiama: costo delle materie prime, energia, trasporti, servizi efficienti, formazione, ricerca e sviluppo, pubblica amministrazione, sistema di tassazione, ecc.
Ai tanti e alle tante che si vendono, occorre saper contrapporre un Paese che sa di avere una sua diffusa dignità, delle capacità inespresse e un suo valore. L’Italia deve recuperare e vendere: efficienza, sicurezza (e controllo, in senso ampio, del territorio), certezza delle regole e dei ruoli, personale (serio, motivato, competente e preparato), ricerca (di qualità ed all’avanguardia), istruzione (formazione, educazione e civiltà), agevolazioni e facilitazioni (per tutti e trasparenti). Come Paese abbiamo tanto e cambiare si può.
Cambiare si deve.


Mario Paganini