Articolo Nr.63
del 04/01/2009
Tamara e gli Anni Folli attraverso le opere di Maria Alpi

Le cose belle piacciono facilmente e, se non a tutti, certamente a tanti. Chi non è superficiale e frettoloso, oppure chi ha un minimo di sensibilità e sa soffermarsi ad ascoltare per sentire - non solo con i sensi, ma anche interiormente - è, sempre e ineluttabilmente, attratto da un oggetto, raffinato ed elegante, per quello che quest’ultimo riesce a trasmettere.
Quando posso, seguo mostre d’arte, questo mio … hobby ha contribuito non poco a fare sorgere un equivoco e, soprattutto una ampiamente immeritata reputazione di capire di pittura e scultura o, con altre parole: di essere un “critico”.
Quando mi è stato chiesto un commento alle opere esposte da Maria Alpi (conosciuta da tutti noi voltanesi, compresi coloro - i letterati - che non dovrebbero usare l’articolo di fronte al nome, come: “l’Antinesca”) ho colto, nello sguardo dell’interlocutore, un attimo di stupore e di delusione al mio rozzo: “Tamara De Lempicka, ma chi è? Mai sentita!”.
Successivamente, nei libri d’arte di casa, Tamara era …liquidata come “ritrattista degli anni ‘30” e la cosa contribuiva ad attenuare un manifesto senso di ignoranza.
Poi, per fortuna, hanno inventato Internet ed i motori di ricerca; inoltre esiste anche una moltitudine di persone che, talvolta per soldi, spesso solamente per passione, mettono la loro conoscenza su Internet, a disposizione di chiunque. Così ho trovato, veramente meritevole: “Mammiferi di lusso” di Giovanbattista Brambilla, (edito originariamente in "Vanity Fair" n.42, 26 ottobre 2006). Mi sembra uno scritto valido, a cui ampiamente attingo.
“Tamara de Lempicka (leggesi: Lempiska), regina dell'Art Déco, è una invenzione assai recente. Risale al 1972, quando una mostra parigina, organizzata da alcuni giovani galleristi, la rilanciò sul mercato. La sua fortuna fu quella d'avere ancora accatastati in soffitta, nel suo studio parigino scampato alle distruzioni della guerra, tutti i lavori dipinti ai tempi d'oro, tra il 1923 e 1935, mai venduti per motivi affettivi. Ritratti di sua figlia, di due mariti e dei molti amanti, sia uomini che donne. Quasi tutte persone, a conti fatti, su cui Tamara aveva regnato dispotica e spesso amareggiato la vita. Lei, ormai ricchissima e nota come baronessa Kuffner per seconde nozze, aveva già dimora fissa in U.S.A. dal 1939 e quasi non voleva più sentir parlare dei suoi vecchi quadri. Ma l'esposizione fu un vero trionfo; tutto andò venduto e i giornali di mezzo mondo esultarono per la fresca e sconvolgente sensualità del suo stile. … Cinque anni dopo, l'editore Franco Maria Ricci le dedicò un sontuoso volume, pubblicandovi anche documenti segreti, rinvenuti al Vittoriale, con piccanti aneddoti, tra il boccaccesco e la pochade, del tira e molla erotico tra la bellissima pittrice e un Gabriele D'Annunzio sul viale del tramonto. Sia ben chiaro: tra Tamara e Gabriele accadde ben poco ed è per questo che si creò tanto leggendario scalpore. … Tamara non restituì al Vate i gioielli ricevuti in dono, tra i quali un anello con un enorme topazio che D'Annunzio le fece recapitare a Milano, da un suo messaggero (si narra, su un cavallo bianco, imbizzarrito in piena Via Manzoni), insieme ad una pergamena con una poesia composta solo per lei, a noi purtroppo non tramandata. Tamara, per vezzo, l'avrebbe sfoggiato all'anulare sinistro fino alla fine dei suoi giorni (morì il 18 marzo 1980) nel suo buen retiro a Cuernavaca, in Messico. … Ma il grande clamore derivato da quella pubblicazione richiamò, ancora di più, l'interesse dei mercanti d'arte, cosicché i suoi quadri incominciarono ad essere ricercatissimi. Qualche fortunato poté trovarne, a pochi dollari, nei mercati delle pulci di New York. D'altronde era pur sempre stata una semi-sconosciuta anche nei suoi giorni migliori. Sempre al di fuori dal "giro" delle avanguardie storiche e legata soprattutto alla peinture mondaine, ad uso e consumo dei raffinati scialacquatori dell'alta società”.
Osserva, ancora, Giovanbattista Brambilla come “questa pittrice, d'immenso talento, ha faticato ad entrare nel pantheon del modernismo e fino a qualche anno fa non veniva mai presa in considerazione da critici e studiosi d'arte. Neppure quelli specializzati in Art Déco la includevano nelle loro antologie, storcendo il naso sul suo recente exploit commerciale. Pensavano fosse solo un fuoco fatuo attizzato da case d'aste e galleristi. Roba per nouveaux riches come Madonna, Jack Nicholson e Donna Karan che ne sono i principali collezionisti al mondo. Rinfacciando alla pittrice d'essere troppo chiara ed accessibile nella forma, troppo sfacciata nei contenuti soft-porn e perciò troppo velocemente amata dalla cultura popolare.”
Dopo questa osservazione Giovanbattista Brambilla trae la conclusione che “La Lempicka, che lo si voglia o no, è oggi la pittrice più famosa dell'intera Storia dell'Arte. Molto di più di Frida Kahlo. Non solo. E' anche l'unica artista, in assoluto, con cui immediatamente s'identifichi il periodo dell'Art Déco. Altrimenti archiviato frettolosamente come un muto bric-à-brac d'oggetti ed edifici, non sempre di gusto eccelso. Uno stile internazionale che in Francia si diffuse dalla fine della Grande Guerra, fino all'arrivo dei nazisti a Parigi nel 1940. Basti pensare che il termine "Art Déco" fu coniato dagli storici solo nel 1966; prima lo si identificava solo come un vago e frivolo periodo "modernista". Uno stile che incarnava la libertà sessuale, scatenata e creativa, della joie de vivre d'una Parigi esotica, affascinante e sexy degli anni del jazz”.
Non vorrei che le mie radici (formazione cattolica) recassero pregiudizio all’arte di Tamara, cito – quindi – ancora Giovanbattista Brambilla a lei assai più prossimo, così da dare al lettore strumenti interpretativi adeguati: “Tamara Gurwik-Gorska, figlia di un ricco ebreo russo e madre polacca, nasce in un anno mai ben precisato intorno al 1895, a Mosca e non a Varsavia come lei, per tutta la vita aveva dichiarato, non si sa bene perché. Dopo la rivoluzione Russa, alla ricerca di libertà ed indipendenza economica, giurò a se stessa che né lei, né i suoi cari avrebbero mai più subito patimenti e povertà. Il risultato fu perseguito con slava meticolosità. Su suggerimento della sorella che studiava architettura iniziò a prendere lezioni di disegno, vedendo nell'arte un mezzo per raggiungere velocemente il successo. Il talento non le mancava di certo. … Frequentò solo i ricchi, i nobili e gli "arrivati" per trarne vantaggio, provando orrore per i poveri e sporchi bohémien che scarabocchiavano su tela. Mirando allo chic esasperato della donna di mondo, non poté far altro che adottare l'ultimo grido in pittura, appunto il Déco, esattamente come bramava con zelo gli abiti costosi e sensuali ammirati su "Vogue". Tamara incominciò ad essere, al tempo stesso, attrice e testimone nel gioco delle apparenze sociali parigine: pittrice di giorno e femme fatale la notte. Vedeva nella sua unicità egoistica un bene prezioso, odiava tutto ciò che era borghese, mediocre e grazioso. Le convenzioni andavano sistematicamente violate. Per questo ritraeva i consimili del suo entourage in modo spietato e aggressivo, dagli sguardi sprezzanti quanto il suo, con colori violenti ed insoliti. Li capiva e li desiderava, sia uomini che donne, senza vergognarsene e farne mai mistero, neppure in vecchiaia. La pittura non serviva per sublimare gli impulsi sessuali, anzi, era un mezzo per concretizzarli nel presente. Negli Anni Folli nessuno pensava al domani, altrimenti non sarebbero stati, per l’appunto, così “folli”. I suoi amici erano tutti mammiferi di lusso, intelligenti idoli di perversità, perfide creature avide di vita e sesso onnivoro. La loro esistenza era costruita come un' opera d'arte, il resto è noia. Soprattutto, erano sempre in movimento. Tanto che pure la scomposizione cubista delle superfici ora, con il Déco, diveniva anche un veloce compenetrarsi di differenti materiali, tutti dipinti nella stessa consistenza satinata e smaltata: velluto e metallo di un'automobile, la pelle e il raso d'una donna nuda, gelidi fiori di calla dentro un vetro. Se il futurismo amava straziare l'udito, il Déco deliziò di feticismo il tatto. Tutti i biografi di Tamara ricordano le sue mani ingioiellate accarezzare sempre tutto e tutti. Forse anche troppo. Non a caso la sua pittura è d'effetto così tridimensionale, cioè scultoreo. Ma lei fu soprattutto una grande ritrattista, anche se ora nessuno se ne rende conto. Ed è così lampante confrontando le foto dei personaggi veri da lei ritratti, oggi misteriosamente avvolti nell'oblio, rispetto alla guizzante introspezione psicologica fatta dalla tavolozza di Tamara.”
Personalmente apprezzo lo stile artistico dei lavori della Lempicka. I suoi ritratti hanno tutti i canoni richiesti e cioè: età, rassomiglianza, carattere. Nei suoi lavori la pittrice ha saputo proporre in modo eccellente sia persone giovani sia persone mature. Quei volti e quei corpi non sono semplici fotografie, ma trasmettono, con l’espressione, la postura, l’atteggiamento, anche un loro carattere (la mano in tasca, un anello ostentato, uno sguardo, ecc.). La cura del particolare e/o dello sfondo dimostrano, inoltre, che Tamara ben conosceva ed a suo modo cercava di interpretare anche diverse tendenze figurative del tempo. Due esempi: guardando il fondale ed il cielo del quadro “Marika De La Salle” si nota una discontinuità tra destra e sinistra. Questa richiama l’opera “Il castello di La Roche” di Georges Braque, a dimostrazione di affinità e di contaminazioni con il “cubismo”. Anche in “Dama in blu con chitarra” i grattaceli di New York sullo sfondo sono qualche cosa tra l’irreale (la prospettiva dovrebbe essere quella da una terrazza) e la scomposizione degli edifici rappresentati. Altro esempio: nell’autoritratto sulla Bugatti verde, Tamara non solo mette la maniglia della portiera di una macchina sportiva in posizione centrale, ma osa anche raffigurare (siamo nel 1925) una donna alla guida del mezzo; sono due provocazioni (per il costume e per le convenzioni sociali del tempo), che dimostrano sia una coerenza intellettuale e un coraggio nelle scelte non comuni, sia un richiamarsi ai canoni e …valori del “futurismo” con il suo dinamismo e le difficoltà nel rappresentarlo (se è “movimento” non può essere “colto” e tutto ciò che è “fermato” sulla tela inevitabilmente fatica a trasmettere un qualsiasi “movimento”).
La “Maternità” dipinta da Gino Severini nel 1916, oppure del 1924 “Le amazzoni” di Ubaldo Oppi e “Concerto” di Felice Casorati sono stati rivisitati e reinterpretati in modo originale da Tamara che, in molte sue opere, dimostra di conoscere dipinti importanti, di artisti del suo tempo, e di sapere trarre da questi spunto ed ispirazione.
È il momento, oltre ad un grande, doveroso, sentito e condiviso ringraziamento a Maria Alpi, che ha riprodotto una trentina di dipinti della Lempicka così da poter proporre ai visitatori in una selezione di venti opere quasi una antologica di questa artista, di sentire Antinesca.
Sorgono, infatti, spontanee alcune domande e qualche curiosità: perché proprio la Lempicka? L’attenzione è stata attirata dallo stile oppure dal personaggio? Ed ancora: quanto tempo, quanta passione e quanta meticolosa cura sono necessari per portare a compimento un lavoro di questa portata?
Maria Alpi “Antinesca” prima di dare risposte, mi mostra una nutrita serie di pubblicazioni sulla Lempicka. Come spesso accade ha …“conosciuto” Tamara quasi per caso: le era stato chiesto di riprodurre un dipinto. Antinesca è originaria di Dovadola e come tanta gioventù del nostro Appennino è cresciuta accettando le sfide e il rigore di una vita talvolta dura, che poteva essere meglio affrontata con la forza della volontà e con l’aiuto di una meticolosa disciplina. Non è ricorsa a mezzi …tecnologici (proiettore, pantografo, plotter, ecc.), ma si è grandemente documentata ed ha raccolto più immagini dell’opera. Antinesca ha fatto e rifatto la bozza, cercando di capire o di intuire il perché di quelle forme e di quelle anatomie. Antinesca ha, poi, analizzato attentamente il modo di lavorare, i supporti e - soprattutto - la tavolozza dei colori utilizzati realmente da Tamara, così da poter risalire a quelli autentici usati dalla Lempicka nei suoi dipinti, ma troppo spesso, per esigenze tipografiche, non fedelmente riprodotti nelle pubblicazioni. Un risultato lusinghiero appassiona e sfida chiamando ad un’altra impresa, ad un altro lavoro e ad un altro ancora, fino ad arrivare ad una trentina di riproduzioni.
Queste le parole di Maria Alpi per una riflessione conclusiva: “La Lempicka è stata una persona che sapeva quello che voleva e non si faceva troppi problemi pur di raggiungere gli obiettivi desiderati. Emblematico, per comprendere la Lempicka, il suo ingresso in società: si presentò al ballo con un’oca al guinzaglio! Fece subito colpo su un banchiere. E fu solo l’inizio… Tamara aveva delle qualità, aveva voglia di imporsi, ha saputo immaginare un percorso ed è riuscita a giungere alla meta. Sembra incredibile: è passato quasi un secolo, eppure potrebbe sembrare cronaca di questi giorni. È difficile dare un giudizio sulla Lempicka che non finisca con l’essere moralista. Penso che Tamara sia molto attuale, non solo come artista…”.


Mario Paganini