Articolo Nr.62
del 23/12/2007
Le “Costellazioni della memoria” di Giuseppe Bedeschi

Presentare la pittura di Giuseppe Bedeschi è un compito facile e, ad un tempo, impegnativo. È facile perché su di lui i critici e le …prime penne del nostro territorio hanno scritto molto e sempre in modo lusinghiero. È impegnativo sia per il timore di non cogliere (o, peggio, trascurare, ad esempio: per esigenze di …spazio) nelle sue opere, aspetti importanti di una personalità artistica ricca (complessa, umanissima e, al tempo stesso, taciturna e riservata), sia di non riferire o riuscire a trasmettere in modo inadeguato lo spessore dell’evento organizzato a Ca’ Vecchia dal 19 al 27 maggio 2007.
Il Prof. Aldo Savini ha scritto che “La pittura di Giuseppe Bedeschi si collega idealmente a quel filone dell’arte contemporanea che intenzionalmente prescinde da ogni forma di figurazione o di rappresentazione mimetica della realtà”. Comunemente viene classificato come astrattismo, termine generico che racchiude in sé diverse declinazioni: astrattismo geometrico, informale ed espressionismo astratto. Infatti, se “Per alcuni fatti visivi il significato è trasparente ed immediatamente decifrabile, per altri invece le valenze comunicative restano nascoste sotto le apparenze [e] non sono facilmente leggibili perché l’intento dell’artista non è narrativo o descrittivo, [ma] mira piuttosto ad evocare una condizione interiore che si sottrae agli schemi dei linguaggi preordinati”.
La pittura di Giuseppe Bedeschi, pertanto, rientra nel secondo tipo, perché vuole infatti rappresentare visivamente un mondo indefinito di fuggevoli sensazioni, pervase da un inquietante avvertimento del tempo, come dimensione in cui tutto scorre, cosicché le apparizioni sono sempre precarie e transitorie, anche quando si ripropongono con insistenza.
In effetti, fin dalle prime manifestazioni la pittura astratta si è caratterizzata per l’aperta reazione all’eccesso di naturalismo soggettivistico, con il conseguente raffreddamento della carica emozionale ed esistenzialistica.
Anche se sono lontani gli “Achromes” di Piero Manzoni, superfici materiche primarie, assolutamente prive di segni pittorici, e i “Concetti spaziali” di Lucio Fontana, nelle opere di Giuseppe Bedeschi, ha notato Luciana Cimenti, “il contenuto arriva da un “passato” e, a mano a mano, va facendosi sempre più distinto; la sua è una pittura razionale, positiva, naturale che sfiora da vicino la coesistenza tra realtà ed irrealtà nel dipinto stesso”.
Bedeschi dipinge con le mani, riconducendo la pittura quasi esclusivamente a distribuzione del colore sulla superficie piana. A tale proposito, nota sempre il critico Savini “… le opere recenti presentano una progressiva riduzione minimale della complessità compositiva, assolutamente priva di elementi figurativi, di citazioni simboliche o evocative: fasce di colore sono disposte secondo un andamento orizzontale con sovrapposizioni pastose, oppure chiazze di colore liquido si autocombinano liberamente, per assumere l’apparenza di giochi cromatici decorativi, come nelle chine su carta. Eppure, non sono semplicemente decorative, perché mirano ad instaurare un rapporto diretto con l’osservatore, affinché non si limiti a guardare e all’immediata registrazione visiva, ma possa anche vedere ed afferrare quegli indizi, piacevoli o sgradevoli non importa, che stimolano la riflessione per comprenderne le valenze espressive.” La lettura artistica delle opere di Giuseppe Bedeschi compiuta dal Prof. Savini prosegue sottolineando come quei dipinti “vogliano dire qualche cosa senza darne una rappresentazione, perché quel qualche cosa non è rappresentabile. È l’energia biologica, quella forza interiore vitalistica che, pur stimolata da pensieri vaganti o impressioni, nella sua purezza non può essere contenuta in alcuna forma, ma può soltanto espandersi. Pertanto la pittura del Bedeschi si presenta priva di un centro definito, di un punto di fuga e di ordine prospettico, ma pretende di essere assolutamente libera ed espansiva”.
Similmente Gian Ruggero Manzoni, nel commentare le opere di Giuseppe Bedeschi, ne ha evidenziato “la capacità d’intendere il mondo come giardino dell’estasi, in cui le atmosfere si ovattano e nelle rifrazioni si scorporano” così da far supporre “- a livello artistico - la volontà di gettarsi nel nulla e di rischiare per rafforzare un senso o un’idea (divenuta negli ultimi anni esile) rievocando un’arte per l’arte”.
Il lughese Giuseppe Bedeschi è pittore per vocazione e, nella vita, imprenditore edile. Il “nostro” ha iniziato a dipingere nel 1978, durante il servizio militare. Dopo aver abbracciato, negli anni 80, la mail-art, l’arte postale ormai dimenticata, affiancandola all’interesse verso la poesia visiva, si è dedicato attivamente alla pittura, partecipando a mostre o iniziative in Italia e all’estero.
I dipinti esposti a Voltana appartengono al ciclo “Costellazioni della memoria (o del garbato istinto)”.
A quanti chiedevano un commento per i titoli attribuiti alle opere - curiosamente sempre in latino - Giuseppe Bedeschi ha detto “La natura mi ha sempre affascinato. Le costellazioni sono nate anni fa da questo presupposto. Faccio le cose che mi piace fare. Il momento per le Costellazioni non è ancora tramontato.”
Dunque, per i lavori esposti, lo spunto, con rigore volutamente scientifico, può sorgere da un’immagine. Poi nella mente dell’artista ha luogo una felice rielaborazione che, con gioco di parole, possiamo definire “cosmica”; infine la maestria, acquisita in un terzo di secolo di conoscenze ed esperienze, riesce a dare un corpo a quella che era una visione, un’intuizione, un’emozione.
Se a Giuseppe Bedeschi piace fare il pittore, ai voltanesi è piaciuta la sua pittura.


Mario Paganini