Articolo Nr.52
del 07/01/2000
Mostra al femminile: Foschini Ottaviana e Foschini Maria Cristina

Non sono parenti, anche se hanno lo stesso cognome; sono, invece, tutte e due molto brave nei settori artistici in cui amano esprimersi. Con una ricca esposizione di opere Maria Cristina e Ottaviana Foschini hanno inaugurato la sala nuova, risultante dall’ampliamento del Centro Sociale “Ca’ Vecchia”.
Una frase, attribuita a Blaise Pascal, afferma che un concetto, quando è accuratamente pensato, può essere riportato in modo sintetico, chiaro, efficace. E’ quello che è riuscito a fare Sergio Fontana, Assessore alla Cultura del comune di Alfonsine, presentando le sue concittadine.
“Cristina, mosaicista, e Ottaviana, pittrice, hanno pensato di raccogliere, in un’unica mostra, i loro linguaggi, attraverso un percorso di creatività al femminile, dove la poesia serpeggia ora dolce, nella cromaticità di Ottaviana, ora forte, nei sassi e nei marmi di Cristina. I due linguaggi che, ad una prima visione, possono apparire distanti, seducono, in un secondo momento, per il loro intreccio di echi e visioni. Il cammino pittorico di Ottaviana segue il filo rosso dell’immagine, snaturata da una metamorfosi che ama costruire e riaccostare un immaginario sia simbolico, sia surrealista. Le sue forme sembrano liberare frammenti: i volti, le figure, gli animali sono fantasmi inquieti e struggenti. Emerge un tipo di pittura con immagini che suggeriscono senza rivelare ed ognuno ha la facoltà di interpretarle, in un gioco pirandelliano senza fine. Cristina risponde all’eco figurativo di Ottaviana, snaturando, a sua volta, la tradizionalità del mosaico. L’artista inserisce o accosta elementi musivi, come le tessere di vetro, di sasso, di coccio, ad oggetti di uso quotidiano: una porta, un’asse, una cosa qualunque. La creatività di un mosaicista è simile a quella di un tessitore. Il lavoro procede lento e paziente, i colori si accostano, giocano, si rincorrono e la luce, con le sue rifrazioni, dona l’ultimo tocco, sia con la lucentezza dei vetri, sia con l’opacità dei marmi. Il termine mosaico significa “opera lenta e paziente delle Muse” e, non a caso, è ciò che si percepisce scoprendo questa mostra di vetro, di sasso, di pittura. Un operare lento ed antico “…cose di tempo, di vento, di pietra” come la poesia di Adriano Guerrini.
Diventa, ora, arduo aggiungere qualcos’altro su quanto visto dal 4 al 12 settembre.
Dei mosaici di Maria Cristina resta la memoria del risultato ottenuto estremamente felice. Infatti dalla fusione di elementi diversi riesce a trarre un vero inno alla convivenza ed all’armonia. In tutte le sue opere troviamo presenti le classiche “tessere”, ma nessun lavoro è fatto solo di “tessere”. I lavori di Maria Cristina rispettano la tradizione, creando le condizioni per rinnovarla. E’, dunque, possibile ammirare tessere ricavate da pietre e lamine nobili, così come è possibile riconoscere piccoli ciottoli comuni. Sono numerosi coloro che, soprattutto in gioventù, magari in occasione di un viaggio o di un evento particolare, hanno raccolto, dal paesaggio circostante, qualche piccolo oggetto al quale, per forma o bellezza, hanno attribuito un collegamento con le emozioni provate. Quegli oggetti, ora riscoperti, trovano una nuova destinazione. Vecchi fili a treccia degli impianti elettrici di inizio secolo, grossi chiodi provenienti da antiche case dismettono le funzioni che erano loro proprie e assurgono a nuovi ruoli: funzioni plastiche, parti essenziali di un oggetto d’arte. L’armonia della composizione prevale, lasciando stupito l’osservatore per le insospettabili emozioni che la nuova destinazione assegnata, ad esempio, alle componenti elettroniche di una radio o ad un sandaletto da mare di un bambino sanno trasmettere.
Secondo Michelangelo l’artista deve “semplicemente” liberare l’opera d’arte dal di più che la costringe, cioè deve riuscire a togliere ciò che non serve. Quella osservata nella mostra è una strada diametralmente opposta: da tutto ciò che ci circonda può essere ricavata un’opera d’arte; occorre “semplicemente” esserne capaci, occorre essere dei bravi artisti.
Sono state numerose le tele di grandi dimensioni, rigorosamente dipinte con colori ad olio perché è un “colore vivo, che trasmette i sentimenti”, che hanno caratterizzato l’esposizione di Ottaviana, disegnatrice e pittrice di Alfonsine. Il piccolo spazio, destinato ad alcune pregevoli litografie e ad altri lavori con il carboncino o con la matita sanguigna, non riusciva a ritagliarsi l’attenzione del visitatore, come pure avrebbe meritato, poiché lo sguardo di questo veniva immediatamente catturato dai lavori maggiori, anche per la ricca policromia. Ad una prevalenza, in alcuni quadri, di temi espressi con i colori ocra, rosso, bruno e verde (pittura “dai forti richiami etruschi” ha acutamente osservato qualcuno) si giustapponevano, in altri lavori, tematiche astratte od allusive, dominate da tonalità neutre, colori delicati ed in cui i soggetti più ricorrenti erano le donne, la maternità, i gatti, i volatili. Negli uccelli e nel loro volo è un richiamo evidente alla libertà, all’assenza di costrizioni, ad un ambiente naturale salubre. Per i numerosi e paciosi gatti, posti in situazioni o scenari dalle prospettive forzate, un pizzico di invidia: sembrano le sole creature che abbiano saputo instaurare un proficuo rapporto con la realtà. Rispettati, spesso viziati o eccessivamente coccolati, hanno un luogo, ma non hanno un padrone. Quanto chiedono e riescono ad avere è molto di più di quanto possono o sanno dare. Sornioni si fanno beffe di chi quotidianamente corre e si affanna. Poi ci sono le donne e la maternità, temi affrontati con grande garbo, in un periodo storico di grandi cambiamenti, in cui la donna è spesso ridotta ad oggetto di conquista o di perdizione. Occorreva un’artista, brava e sensibile come Ottaviana, per riuscire a rappresentare la donna per quello che è, per rappresentare la femminilità e la maternità come doni di grazia. Quei dipinti ci descrivono il carattere di donne autentiche, delicate e forti dentro. Quei dipinti, con grande spontaneità, ci comunicano la serenità e la gioia di un evento (la maternità) naturale. In una società, ebbra di un tecnicismo tanto affascinante quanto deludente, sono importanti i richiami garbati a valori naturali e sociali per non ritrovarsi, anche per l’abulia di tanti, di fronte ad una loro definitiva perdita o, peggio, ad accettarne il sovvertimento.
Alle due “nostre” giovani artiste auguri di un futuro ricco di soddisfazioni ed a chi legge queste righe l’invito, se già non ne ha avuta l’occasione, a visitare la loro prossima personale.


Mario Paganini