Articolo Nr.51
del 12/04/1999
“Voltana in Mostra” n. 8 con Anna ed Enrico Bartolotti

Qualsiasi considerazione sull’artista Anna Bartolotti ha, all’origine, due riferimenti: il padre Augusto e Ravenna, capitale del mosaico. Dal padre, famoso artista del ferro battuto, eredita la passione, il carattere e l’estro creativo.
Di Augusto parlano, bene ed in maniera eloquente, a noi - che sovente siamo a Ravenna - le sue opere e soprattutto la Madonna di fronte all’ospedale o il San Francesco.
Anna Bartolotti è nata e cresciuta a Ravenna, sotto il segno del mosaico, patrimonio prepotentemente presente e forse condizionante.
Tema ricorrente dell’autrice: costruire una “teoria” su qualche cosa che è stato gettato via. Si potrebbe dire che è il recupero del pezzo destinato al cassonetto a muovere la sua fantasia. Così la Bartolotti dialoga con i materiali impiegati, manipolandoli tanto che il pezzo di scarto, della lavorazione al tornio e alla fresa, dell’alluminio e dell’acciaio, il frammento temperato, lo scampolo di conchiglia, il minerale spezzato, i vetri consumati dal vento e dal mare diventano i tasselli per comporre i suoi mosaici.
Il pittore Concetto Pozzati ebbe modo di affermare che “…la libertà di rapina è una utilizzazione critica di un arsenale di linguaggi, creati per servire ed essere utili”. Nelle opere della Bartolotti c’è questa traccia; infatti è di tutta evidenza, nei suoi lavori, il ruolo del “furto-memoria” come momento di creazione; in esso la tessera serve ancora per una realizzazione musiva, ma del mosaico non le è rimasto che il ricordo e il “furto” del pezzo di scarto, del fossile, della madrepora, del sasso, del ferro che sono il mezzo per realizzare la sua produzione.
Nella stesura plastica del suo lavoro l’artista adopera tutti gli oggetti casuali e non casuali, per formulare una sua galleria di cose trasparenti, fatta di giardini incantati, paesaggi senza confini, pezzi di mare, figure in movimento
La combinazione dei materiali è, però, tale che l’opera dell’artista si inserisce a pieno titolo nel linguaggio scultoreo.
Chi, infatti, si avvicina alle sue creazioni ravvisa subito in esse un plasticismo semplice, affascinante e naturale che si inserisce nel recupero della tradizione. Tale recupero non è, però, una operazione conservatrice, ma è, piuttosto, la volontà di elaborare il concetto di tradizione.
Per Anna Bartolotti noi tutti siamo il risultato di altre memorie e, nello stesso tempo, siamo il ricordo di noi stessi. Per questo l’opera dell’artista raggiunge l’obiettivo, quando riesce ad essere la somma emozionale delle esperienze proprie ed altrui. I suoi lavori, dunque, sono un mondo fantastico attraverso il quale cerca di insegnarci ad apprezzare non soltanto la superficie di quel che vediamo, ma (facendoci sprofondare nelle nostre storie, siano esse fantasie, ricordi o chimere) anche tutto quanto le opere riescono a trasmetterci od a suggerirci.
Il critico d’arte Rosanna Dardozzi Dalmonte ha, infatti, evidenziato come, per una corretta lettura dei lavori della Bartolotti, sia necessario “…evitare di concentrarsi all’esatto livello del momento osservativo, che risulta inadeguato, essendo ben più proficuo evocare la “memoria ricordo” delle storie che tale lavoro può suscitare”.
Anche la partecipazione alla mostra del nipote Enrico Bartolotti è risultata un momento particolarmente qualificante. Infatti l’intervento del giovane Bartolotti con i suoi pezzi di ferro battuto, aerei come petali di fiori cullati dal vento o penne di uccelli vaganti senza peso nel vuoto, aiuta ad intensificare nell’osservatore la trasposizione dal reale ad un fantastico fatto di atmosfere trasparenti e, citando ancora Rosanna Dardozzi Dalmonte, “…non c’è niente di paradossale in questa affermazione. Il concreto ferro é un aggettivo positivo all’immagine della trasformazione lirica del lavoro che si osserva. Trasparenze concretizzate, realtà trasparenti: leggiamo come preferiamo questo messaggio plastico fatto di paesaggi, di ricordi, di visioni”. Le creazioni di Enrico Bartolotti dimostrano quanto il ferro sia a lui familiare come un materiale del quale conosce tecnicamente tutte le qualità e come mezzo al quale affida il compito di spaziare nel mondo fantastico della trasformazione poetica delle sue intuizioni forti e libere.


Mario Paganini