Articolo Nr.42
del 15/12/2008
Unità, emozioni e tempo

L’italiano non è una delle lingue più facili, però dopo la discesa in campo di faccendieri spregiudicati, di politici corrotti, di assicuratori disonesti, di banchieri temerari (spesso coadiuvati da esperti di marketing, di sociologia e di psicologia) le difficoltà sono enormemente cresciute.
Tutti parlano di tutto, ma, troppo spesso, nessuno intende. Il mezzo “linguaggio” finisce con il non assolvere alla funzione sua propria. Tra le conseguenze: ai dialoghi si sostituiscono i monologhi, anche a due o più voci. Se tutti, poi, sanno di tutto, finisce che, mentre i maestri proliferano, mancano gli allievi o non esiste chi ha il tempo o la voglia di stare ad ascoltare. Da una parte tanti hanno difficoltà ad ammettere limiti alle proprie conoscenze e competenze, dall’altra pochi denunciano un linguaggio incomprensibile, volutamente ambiguo o rivendicano il diritto di capire. Nella favola del re - quando questi raggirato, ma tronfio del proprio potere, rimase spoglio – un innocente ebbe il coraggio di esclamare, chiaro e forte: “il re è nudo!”. Temo siano necessari battaglioni di innocenti per invertire la tendenza in atto!

Preciso, quindi, il significato delle tre parole: per “unità” intendo la comunanza di vita, di esperienze, di tradizioni, di sentire e di atteggiamenti di un gruppo di persone. Con “emozioni” intendo il sinonimo di: “diritto alla felicità”, “progresso”, “sviluppo”, ossia quello che queste ultime parole hanno in comune, come fondamento o come risultato. Purtroppo queste ultime parole sono diventate inadeguate perchè, nel tempo, hanno acquisito un sottile significato negativo. Nell’ordine: “obiettivo da perseguire (con spregiudicatezza) a qualsiasi costo”, pertanto: anche “fuga dalla realtà”. Gli ideali e le ideologie, poi, hanno provocato sacrifici inauditi ed al mito del “progresso” sono state immolate troppe vite. Infine esiste un miserabile terzo mondo, che sopravvive perfino tra noi, uomini e donne del ricco e opulento Occidente, intrinsecamente incapace di riscattarsi, di decollare, di svilupparsi. Invece il “tempo” cronologico è rimasto un concetto elementare, ma è anche una variabile ignorata (o volutamente occultata) della società contemporanea. Tutte le cose (cioè: ogni risorsa) sono ben definite e limitate nella quantità, ma crediamo (o ci fanno credere) il contrario. Il tempo cronologico, pertanto, ha la necessità di essere semplicemente riproposto per quello che è, ossia: l’unica risorsa che non riusciamo a spacciare per infinita!

Voltana, è risaputo, è una comunità particolare. Un passato difficile, fatto di dure prove, ha radicato un presente cementato da una diffusa solidarietà e dal desiderio di condividere e mettere veramente in comune ciò che di meglio e di buono ciascuno sa fare. Per i Voltanesi il ritrovarsi è un segno di “unità”; non è mai un rito, una vuota gestualità, ma è sempre il bisogno, l’emozione dall’incontro con l’altro, per il piacere di spendere bene il tempo che a ciascuno è dato, facendo - insieme - qualche cosa di utile e vantaggioso per tutti.
In un sistema che continuamente chiede di più e dà di meno è bella la testimonianza che i Voltanesi doc sanno dare. Nonostante la moderna, quotidiana esistenza chieda spesso l’impiego del 100% delle risorse personali (economiche, fisiche e psichiche), il rischio di attingere alle scorte vitali è, quindi, sempre incombente. A Voltana sentiamo impellente il bisogno di stare insieme e riusciamo ancora ad essere disponibili per organizzare ora un evento culturale o sportivo, oppure per festeggiare il compleanno dei nostri vecchi o le coppie che hanno speso l’esistenza in questo piccolo paese della Bassa Romagna. Un Voltanese doc sa sempre scovare, concepire e condividere quanto può essere o diventare segno di unità.

Lo “spazio”, soprattutto, per gli uomini e le donne del terzo millennio, ha poco significato. Infatti, ad esempio, settanta o cento anni fa un viaggio in America era una cosa complicata tant’è che i familiari accompagnavano alla nave il congiunto, che stava partendo, spesso in lacrime. Oggi ci si reca in una agenzia di viaggi e, continuando l’esempio, tre giorni dopo - con un sorriso e con naturalezza - si è in grado di andare in America (od anche nella più lontana Nuova Zelanda!). Dunque lo “spazio” è diventato un viaggiare sicuro, confortevole e privo di drammi, di norma su un jet, in un ordinario volo di linea. Lo “spazio” ed il “tempo” sono concetti collegati, ma non sono egualmente nelle disponibilità umane, anzi, sono diventati quasi opposti. Il primo è facilmente sotto il nostro pieno controllo, il secondo è inesorabilmente subìto. Di novità, nel “tempo”, c’è la sua non corretta percezione. Anche per gli uomini e per le donne del terzo millennio dovrebbe esistere un passato, un presente ed un futuro. Non è così. Ora esistono un presente dilatato a dismisura, un passato prossimo e un passato remoto che è inutile ricordare e, quindi, va rimosso. Si tenta, poi, - spasmodicamente ed immediatamente - di raggiungere il futuro imminente, mentre il futuro troppo lontano è impossibile da concepire, perché i progetti sono giudicati o ambiziosi o utopistici o astratti.
Di norma il “tempo” (che in assoluto è un bene, una risorsa limitata e preziosa) è continuamente scambiato per denaro. A fronte di una attività svolta (esempio: per il lavoro prestato) e con il denaro (in ultima analisi) ci procuriamo, o tentiamo di soddisfare, il maggior numero di bisogni, che altro non sono che “emozioni” gratificate.
Una parte dell’umanità ha coscienza della situazione e, in qualche modo, cerca di governarne il divenire. Pochi (disonesti) riescono, invece, a sfruttare lo scambio di “emozioni” per “tempo” in modo da governare i processi di creazione e di trasferimento della ricchezza (dai molti ai pochi). Attraverso l’azione di questi individui il lavoro viene frazionato, semplificato, standardizzato, e specializzato, mentre il lavoratore - dominato e “posseduto” dalle logiche del libero mercato, dalla competizione, dalla disponibilità e dalla flessibilità - finisce con l’idolatrare queste idee, dimentico dei suoi autentici interessi, sia come individuo sia come persona inserita in una società e in un ambiente. Chi domina, inoltre, deve poter disporre di sempre maggiori informazioni e riscontri, pertanto necessita di un crescente numero di controllori. Il risultato: tante esistenze si consumano velocemente, in una stato di non coscienza. Immersi in un modello consumistico, edonistico diventa difficile riflettere che tutte le risorse e la Terra stessa sono in quantità limitata e finita. È un meccanismo infernale che produce ricchezza, devasta l’ambiente naturale, crea sperequazioni sociali, abbrutisce le masse, riduce la creatività soggettiva e svilisce la dignità di tante persone.

Contro lo scambio come spogliazione e dominio, a Voltana domina lo scambio come arricchimento e soddisfazione reciproca. Se dallo scambio riescono a trarre vantaggio ed a crescere entrambe le parti, questo piace e origina emozioni. Non è cosa da poco far coesistere un modello sociale, che ha come riferimento ed unità di misura il denaro (ed il suo moltiplicarsi), con un modello sociale attento ai servizi alla persona ed alla sua promozione (materiale e spirituale), modello quest’ultimo che ha anche come riferimento le soddisfazioni e le sensazioni procurate dal poter donare, ossia: dare con amore.

In genere la struttura sociale democratica ha due direzioni: quella verticale e quella orizzontale, con scambi possibili e continui. Deve esistere un movimento tra “i vertici” e “la base” come tra le “arti maggiori” e le “arti minori”. Ne consegue uno Stato leggero, forte all’esterno e garbato per gli affari interni. Come possono essere definite le società in cui c’è solo “un vertice”, senza divisione tra i poteri (legislativo, amministrativo, giudiziario) e che non ha e non accetta scambi od alternanze nei ruoli con “la base”? Il senso di inquietudine cresce enormemente, quando imperscrutabili esigenze “impongono, per ragioni di sicurezza”, una militarizzazione progressiva della società ed un moltiplicarsi dei controlli, con una netta distinzione tra sorveglianti (onnipotenti e onnipresenti) e sorvegliati (totalmente disinformati). Desta, poi, allarme e preoccupazione constatare la ridotta mobilità orizzontale che porta il figlio del muratore a fare l’artigiano, mentre l’invenzione del “numero chiuso” di fatto preserva i privilegi di caste e di corporazioni, ora trasmessi per …diritto ereditario.
A Voltana non ci sono “grandi vecchi” che, dietro le quinte, tessino tele ed intrighi. Esiste un buon avvicendamento e ricambio nella “classe dirigente”, che lascia i vertici senza drammi e senza la pretesa di vivere di rendita per un po’ di lavoro svolto al servizio della collettività. Un diffuso senso del dovere e del bene comune anima l’azione della grande maggioranza. Quando è possibile, si lavora meno, ma si lavora bene e si lavora tutti. Quando è possibile, si guadagna il giusto senza approfittare delle situazioni. Vengono create opportunità di lavoro e queste sono colte.
A Voltana ci sono diritti che vanno tutelati e garantiti e, soprattutto, ci sono servizi alla persona; prestati con calore ed amore, mai con burocratica freddezza. Nessuno è controllore e nessuno è abbandonato a se stesso. Tanti spontaneamente si prestano per soccorrere chi è in difficoltà o nel bisogno.

Il vantaggio di Voltana: essere una pluralità di esistenze e di esperienze che desidera, vuole e riesce a ricomporsi in momenti di “unità” autentica e forte. È una comunità che può affrontare il futuro con ottimismo, quindi è una comunità molto fortunata.


Mario Paganini