Articolo Nr.29
del 08/02/1999
Quando la famiglia è penalizzata

Quando tutto è relativo, quando non ci sono più idee o ideologie, quando le ragioni della politica coincidono con le ragioni dei numeri (meglio se di maggioranza e vincenti), tutto si confonde in un indistinto buonismo. Non ha più senso, non è più opportuno, non si ha più il coraggio di un chiaro e determinato “no”.
Tante le cause. Una, semplice ed immediata, è correlata alle difficoltà in cui si dibatte l’istituto della famiglia. Chi, nonostante tutto, mette su famiglia e con amore e dedizione continua, serenamente, questa esperienza, non ha bisogno di grandi spiegazioni. Chi è genitore “sa” che, ogni tanto, occorre un “no”. Nella vita di tutti i giorni per convenzione, educazione, formalismo rituale, convenienza è, invece, opportuno dire di “sì”, mentre sono poche le circostanze in cui è possibile dire di “no”. Anche quando la risposta è di tutta evidenza, se negativa, è bene spiegarla, giustificarla, attenuarla. Poi, comunque, chi dice di “no” finisce con l’essere considerato …cattivo. I genitori di un tempo comunicavano con poche e sudate parole e, se fallivano, al “no” facevano seguito altri sistemi di persuasione più energici. Erano sistemi che, sovente, rimanevano impressi nella memoria per una vita. Chi sbagliava …pagava. Oggi chi sbaglia è blandamente sanzionato.
Il discorso cade, inevitabilmente, sulle scelte politiche. Capita, allora, che quanti hanno cura delle sorti della città e della cosa pubblica non riescano a colloquiare tra loro.
Recentemente ho assistito ad un confronto tra politici cattolici e altri politici riferito, per l’appunto, alla famiglia.
I cattolici, in forza di una fede e di una esperienza quotidiana, difendevano la famiglia, fondata sul matrimonio, con passione.
I non cattolici (a mio avviso: per un insano “buonismo” o per una conoscenza scarsa, astratta, inadeguata, fallimentare o per interessi elettorali) invocavano il diritto alla ricerca della felicità oppure facevano appello alla tolleranza oppure reclamavano una autentica maggiore libertà, finendo tutti per propugnare attenzione e legittimità verso qualsiasi forma di convivenza.
La lezione politica appresa è stata: gli interessi di una minoranza agguerrita si affermano, quando la maggioranza è buonista, astratta, opportunista.
Come cattolico provo fastidio all’idea che la famiglia, fondata sul sacro vincolo del matrimonio, cessi di essere l’obiettivo, il fine per diventare, semplicemente, una tra le possibili forme di unione.
Con altre parole trovo sbagliato generalizzare ed estendere diritti e doveri a tutte le unioni possibili, così come trovo sbagliato riconoscere dignità e normalità a situazioni che tali non sono.
Da notare che l’attuale modello di sviluppo, le esigenze poste dalla organizzazione del lavoro, l’assenza di politiche mirate non favoriscono l’esistenza alle famiglie. Si riduce, pertanto, il numero di persone che hanno una adeguata conoscenza di che cosa sia e quali esigenze abbia la famiglia, eppure con questa debbono rapportarsi.
E’ sperabile che gli argomenti di comune interesse (penso, ad esempio, alle tante povertà od alla necessità di spartire il lavoro esistente tra occupati e non occupati) riacquistino importanza.
E’ possibile che altri scoprano di essere minoranze (penso ai malati cronici e agli handicapati, ma - visti i tempi e gli esempi - anche a lobbies che tutelino i piccoli di statura o le persone con problemi di peso) e si adoperino per ottenere aiuti.
Intanto, anziché lamentarsi per il declassamento patito, sarebbe opportuno che le famiglie si mobilitassero per ottenere quelle agevolazioni che hanno le unioni.
E’ sufficiente che la famiglia sia un poco numerosa, per scoprire le penalizzazioni sulle tariffe delle utenze.
I consumi sono pro-capite, mentre le bollette sono calcolate per scaglioni sui consumi.
La bolletta per la fornitura dell’energia elettrica, con la progressione degli importi sui consumi domestici particolarmente ripida, consente un esempio. Se quattro single decidessero di rinunciare ai quattro contatori per averne solo uno, l’onere della bolletta potrebbe passare, invariato il totale dei consumi, da 4 a 13.
Fino ad ora due persone sentimentalmente legate godevano di varie agevolazioni, come il regime impositivo sull’immobile di abitazione. Queste potevano, ad esempio, reclamare riduzioni per la “prima casa”. Con il matrimonio una delle due “prime case” cessa di essere tale e con essa viene pertanto a mancare la riduzione. Che cosa accadrà agli immobili posseduti dalle unioni di fatto?
Sono frequenti le situazioni grottesche prodotte dall’attivismo, troppo zelante, di alcune Amministrazioni. Un esempio: Renzo ha la sua casetta, mentre Lucia vive con mamma Agnese proprietaria dell’abitazione. Renzo e Lucia vanno a convivere, per qualche tempo, con Agnese (non ci interessa sapere se la coppia abbia bisogno di Agnese per accudire i figli oppure sia Agnese bisognosa di assistenza). Conti alla mano, tra tasse e bollette la temporanea grande famiglia paga di più. Chissà che queste Amministrazioni, troppo attente alle unioni e poco alle famiglie, non riescano ad escogitare qualche cosa anche per le unioni di fatto, soprattutto quanto agli obblighi di assistenza.


Mario Paganini