Articolo Nr.2
del 21/05/2010
Spunto per una riflessione comune

Tutto evolve e cambia; quello che importa è:
non farsi cogliere impreparati dagli eventi.


A che velocità si può andare in una strada di centro città? Prova ad immaginare una strada stretta, con le macchine parcheggiate sulla destra e con il timore che, improvvisamente, una portiera si apra. Aggiungi la presenza della segnaletica. Si rimane, allora, stupiti che un veicolo, sia pure lentamente, riesca ad avanzare.
È un sereno e tranquillo sabato pomeriggio, destinato da me al disbrigo degli abituali acquisti per la settimana successiva.
Lo “stop” è giusto sulle strisce dell’attraversamento pedonale, poi c’è l’immissione nella rotatoria.
La forza dell’abitudine mi porta a dare un’occhiata sia a sinistra che a destra; nessuno a sinistra e - ovviamente - neppure a destra.
Inserita la prima marcia la macchina ha giusto il tempo di percorrere un metro, di certo non due, quando - da dietro - proviene un rumore strano. La visione di tanti film rende familiare un linguaggio aeronautico: “qualche cosa ad ore cinque!”. È un attimo e l’occhio scruta nello specchietto retrovisore. Dietro, appunto ad ore cinque, sono a terra una bicicletta ed una persona.
La macchina è già ferma ed immediatamente scendo.
Come fa ad esserci una persona a terra? Da dove è sbucata?
Mi chino per aiutarla a rialzarsi. Ha i lineamenti di un magrebino. Lui borbotta e trema tutto.
Non credo ai miei occhi… Osservo e torno ad osservare. È strano: tutte le volte che sono caduto, mi sono o inzaccherato i vestiti o, più o meno, scorticato la pelle; lui, invece, non ha un solo graffio e neppure i vestiti rivelano alcun segno…
Neanche la macchina ha alcun segno. Non c’è traccia di ammaccature. Il sottile strato di polvere e smog mostra una perfetta uniformità; non esiste segno di un contatto qualsiasi.
Ma, allora, come può esserci stata una collisione con la mia macchina? E dov’era l’uomo prima di finire a terra? Data l’attuale posizione, poteva essere solamente sul marciapiede, dietro le auto in sosta. Per non vederlo deve essere riuscito a percorrere 5 o 6 metri in un attimo. Com’è stato possibile?
Non si rialza. Io ripeto la richiesta se vuole essere aiutato. Mi fissa e resta appoggiato sulle braccia, senza muovere le gambe.
Continuo a pensare a come sia caduto dato che io ero fermo. Nessuno c’era di fronte o di fianco. Se fosse stato diversamente, il magrebino sarebbe disteso in un’altra posizione o, comunque, in ben altre condizioni! Quanto a me sono ben certo di non avere fatto retromarcia!
Sopraggiunge una bicicletta; è condotta da una donna, anch’essa di colore, con un bambino nel sellino. È giovane e di bell’aspetto. Mi chiede se occorra aiuto e si offre quale interprete.
Ringrazio. Ben venga un aiuto! Penso: o l’arabo non ha le differenze che hanno le lingue occidentali o è poliglotta o, comunque, sa come colloquiare con questo magrebino. Chissà che non mi aiuti a capire che cosa è successo…
Altri secondi sono trascorsi e altri due magrebini sono, ora, comparsi alla mia sinistra. Sono tra me e la portiera semichiusa del posto di guida della mia auto.
All’interprete occasionale formulo due semplici domande: “Come si sente?” e “Com’è accaduto?” Lei parla e parla decisamente in … arabo!
Non è trascorso un minuto che sopraggiungono altre persone: alcuni miei connazionali altri, dall’aspetto, suoi connazionali.
Gli italiani fissano l’uomo a terra, mentre i magrebini fissano tutti me. Ora ci sono una dozzina di persone, cosa normale dato che siamo in centro città; però non avrei mai immaginato così numerosa, qui, la comunità magrebina …
Le pulsazioni del mio cuore stanno riprendendo un ritmo accettabile, invece in testa i pensieri continuano ad accavallarsi. Meno male che non sono cardiopatico! Meno male che non sono un neo-patentato! E, soprattutto, meno male che sono un uomo maturo. Cerchiamo - allora - di usare il cervello ed analizziamo i fatti.
Ho una strana sensazione: c’è, in quello che sta accadendo, qualche cosa che “non mi squadra”, anzi “non mi fila” l’intera dinamica dell’evento.
A chi chiede espongo fatti e perplessità.
Transita una coppia di anziani: anche loro chiedono, poi si allontanano con formule di augurio. Lei mormora “Anche noi ne sappiamo qualche cosa!”. Non è il caso di approfondire; in questo momento io ho altro a cui pensare! Oltre tutto il suo compagno la tira perché acceleri il passo…
Finalmente l’interprete mi fa un cenno. Non mi è stata di aiuto. Mi risponde, infatti: “È molto confuso” ed “Ha bisogno di aiuto”.
Aumenta il numero di magrebini; tutti chiedono l’intervento di un’ambulanza e ripetono: “118” … “118”.
Per me gli anni passati hanno il vantaggio di avere accumulato esperienze e conoscenze. Come in tante aziende anch’io ho seguito dei corsi di addestramento, per fronteggiare incendi, calamità, incidenti, sciagure ed eventi di vario tipo e natura, ma - probabilmente - non sono, adesso, nella condizione di “percepire la situazione con il necessario distacco”.
La voce dei presenti sta cambiando tono nel proferire “118 !” .
Uso, allora, il cellulare. Digito, però, il numero “113”, riferisco l’accaduto al mio remoto interlocutore chiedendo anche l’intervento di un’ambulanza.
Qualcuno mi chiede notizie ed io riporto le parole rassicuranti del 113.
Sento parlare l’interprete. Il “113” in arabo si dice “centododici” !
Quando, poi, la persona a terra chiede qualche cosa, l’interprete porge una piccola bottiglia d’acqua perché, come ogni mamma con un piccolo al seguito, è molto bene attrezzata.
Un sorso e quello immediatamente lo rigetta, poi inizia a sbarrare e stralunare gli occhi. Rovescia il restante contenuto della bottiglia, infine - usando solamente le braccia - tenta di trascinarsi altrove.
A tale scena il cuore mi riprende a battere all’impazzata e muta totalmente la natura dei miei pensieri. Ora ai tanti dubbi, scatenati dalla strana dinamica dell’evento, si sostituisce una sola considerazione: “Vuoi vedere che il magrebino cadendo si è fatto realmente male!?”
Contemporaneamente i suoi connazionali presenti urlano all’unisono: “118 !”
Sono passati solo alcuni minuti e una stazione delle ambulanze è a poche centinaia di metri da dove ci troviamo.
Il cellulare è ancora tra le mie mani perciò sollecito l’ambulanza.

Si ode una sirena. Poi un’altra ed un’altra ancora. È una processione di veicoli con i lampeggianti azzurri in funzione.
Mi guardo attorno: l’interprete è scomparsa e non c’è più nessun italiano. Siamo in quattro: io di fronte all’uomo a terra, ora assolutamente immobile, e i due suoi connazionali che, fin dal primo istante, si erano posizionati alla mia sinistra.
L’auto dei tutori dell’ordine precede la prima ambulanza.
Il personale della seconda ambulanza, dopo un veloce sopraluogo, riparte.
Saranno passati quindici minuti: i tutori dell’ordine, con molta professionalità, circoscrivono l’area, srotolando il nastro bianco e rosso, poi - con un gesso - tracciano la posizione del mio veicolo, della bicicletta e del corpo. L’uomo, con la riga di gesso attorno, non solo non è morto, ma non può neppure avere nulla di serio, dato che è un incidente dalle dinamiche strane.
Noto la curiosa manovra di uno dei magrebini che stazionano alla mia sinistra: si allontana di corsa per ritornare, dopo poco, dichiarando che il documento che lui ha in mano è della persona a terra. Noi italiani giriamo con i nostri documenti sempre appresso e anche loro sarebbe bene che si integrassero e facessero proprie le nostre abitudini. Un comportamento del genere lascia perplessi e fa sorgere dei dubbi.
L’intervento di soccorso si conclude rapidamente e l’ambulanza riparte.
Ripercorro con i tutori dell’ordine la dinamica dell’episodio e manifesto le mie perplessità, dato che la mia automobile non ha il più piccolo segno. E la bicicletta non ha alcun vetro o catarifrangente rotto. Il manubrio della bicicletta è leggermente piegato, rispetto alla ruota, e non vedo i freni.
Chiedo un suggerimento sull’atteggiamento più opportuno in simili circostanze.
Mi viene proposto di recarmi al Pronto Soccorso, per informarmi sulle condizioni del magrebino.
Io, per prima cosa, raggiungo la sede dell’assicurazione.

L’assicuratore contattato mi dice che sono tempi duri e che, anche se si verificano episodi strani, tutto - poi - si risolve per il meglio.
Raggiungo allora l’ospedale. Ne conosco la struttura. Ed ecco una portantina con lui che ha “il collare”. Parla con uno dei due magrebini sopra citati.
Ci fissiamo negli occhi.
Improvvisamente quello steso sulla portantina inizia a tremare, di nuovo sbarra e straluna gli occhi, emette suoni e le braccia si irrigidiscono in avanti.
Caspita che effetto gli fa il rivedermi!
L’amico (quello con la felpa verde e la scritta argentata, che è stato lesto nel recuperare e presentare i documenti personali di quello a terra) con tono grave e con dizione italiana perfetta, mi ammonisce: “Hai visto che cosa hai fatto?! E adesso come la mettiamo!”
“La mettiamo che stiamo al verbale dei tutori dell’ordine. Auguri per il suo amico!” Questa la mia risposta. E, mentre mi allontano, quello sulla portantina pone fine alla sua agitazione.

Il lunedì sera, dopo essere stato all’ospedale per sapere se il magrebino era stato dimesso il giorno stesso del ricovero, raggiungo l’assicuratore per le formalità.

Martedì, a sera inoltrata, contatto un avvocato secondo il quale ho fatto bene a fare intervenire subito il “113” e mi informa sul nostro sistema sociale e legale aggiungendo che “i magrebini, spesso, sono meglio informati degli italiani”.

Passati alcuni giorni mi reco alla sede dei tutori dell’ordine, per avere copia del verbale.
Quel magrebino, avendo per bicicletta un vero pezzo di antiquariato, senza freni, dopo aver percorso 50 chilometri, mi ha rovinato un sabato pomeriggio ed alcuni giorni successivi.

Sono trascorsi alcuni mesi, ma non ho dimenticato le emozioni provate e il tempo perduto.
Ho trascritto l’episodio, nella speranza che non si ripeta per altri, perché - diversamente - si avvereranno le parole di Aldo Moro: “Questo Paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà breve ed effimera se non prevarrà un nuovo senso del dovere”. Parole valide non solo per noi italiani, ma anche per le persone immigrate.

Convinto che il mio scritto possa essere un utile spunto per altre riflessioni lo affido ad amici ed a conoscenti, liberi loro di utilizzarlo indicandone l’autore se fedelmente riprodotto.


Giugno 2009


Mario Paganini