Articolo Nr.190
del 20/01/2018
Lavoro, occupazione e produttività

Esiste una stretta correlazione tra la quantità di “lavoro”, il numero degli “occupati” e quanto gli occupati riescono a “produrre”.
Un esempio.
Per produrre diecimila unità di un bene, avendo 50 dipendenti, che lavorano ogni giorno per otto ore, sono necessari 25 giorni.
Se poi i 50 dipendenti lavorassero, ogni giorno, per 10 ore, allora di giorni ne occorrerebbero solamente 20, per ottenere le diecimila unità del bene desiderato.
Mentre 10 giorni risulteranno bastevoli, per ottenere le diecimila unità del bene desiderato, se - invece - ci fossero 125 lavoratori disposti a lavorare quotidianamente per otto ore.
Quindi: individuato un prodotto che abbia un mercato, possiamo scegliere tra: un aumento degli occupati oppure aumentare le ore lavorate da ciascun dipendente.
Naturalmente sono anche altre le variabili che hanno importanza; spesso un’importanza notevole, talvolta determinante. Pensiamo, ad esempio: ad una innovazione tecnologica, a nuove metodologie, ad una migliore organizzazione del lavoro, ecc.
Intenzionalmente le escludo.
Con questo mio scritto, infatti, mi preme evidenziare una situazione... “tipicamente italiana”. Ossia: riflettere sul diffuso aumento della produttività e della produzione, come conseguenza principalmente di un aumento delle ore di lavoro e, quindi, a scapito della occupazione. Una situazione che è sotto gli occhi di tanti, ma che in troppi fingono di non vedere.
Esistono, infatti, molte realtà aziendali nelle quali si fa lavoro straordinario. Poi ci sono anche quelle realtà nelle quali il lavoro straordinario viene fatto, ma non viene rilevato.
Di tutta evidenza e - prima ancora - di puro buon senso che, se una azienda ha richieste che vanno oltre le sue ordinarie capacità produttive, prima di assumere nuovo personale, è opportuno ricorra al lavoro straordinario, correttamente rilevato ed equamente compensato.
Esistono, invece, realtà e situazioni nelle quali le aziende richiedono prestazioni lavorative eccedenti il normale orario di lavoro, ma – purtroppo – sono occultate, non sono correttamente rilevate e in nessun modo ricompensate.
In Italia abbiamo, pertanto, molti disoccupati, a fronte dei quali abbiamo anche molti occupati, che lavorano oltre misura, e - quello che è realmente grave e triste - senza percepire nulla!
Cresce la produttività e la produzione, ma la nuova ricchezza non finisce nella mani giuste. Soprattutto: non è equamente ripartita. E questo, a mio parere, è vergognoso.
In attesa che i disoccupati si organizzino - magari sulla falsa riga delle tante “ronde per l’ordine e la sicurezza”, che danno una nota di colore a tante realtà urbane - sarebbe opportuno che “la politica” riprendesse a svolgere il suo ruolo.
E “la politica” dovrebbe “dare la sveglia” alle numerore istituzioni e struttrure pubbliche che già esistono in Italia.
In attesa di questo miracolo, suggerisco una metodo pratico, per verificare la fondatezza della mia affermazione. Può risultare un suggerimento utile sia a chi non ha assolutamente esperienza in materia, ma è curioso, sia a chi dovrebbe averlo come ruolo professionale, ma finge di essersene dimenticato.
Molto semplice: Individuare una azienda che ha ampliato i capannoni, oppure una azienda che ha concluso un processo di ristrutturazione.
Informarsi se tale azienda ha aumentato gli organici. Informarsi sugli orari di lavoro.
Per un mesetto prendere nota di quante persone escono un’ora dopo il termine dell’orario di lavoro o di un turno di lavoro.
Se la quota di lavoratori risultasse costantemente significativa (esempio: 15 – 20 % dei dipendenti), porre a costoro la domanda: “lavoro straordinario oppure volontariato?”
Sarà la dimostrazione della fondatezza o meno di queste mie note e - da dilettanti - avremo fatto meglio di tanti professionisti, pagati per farlo, tipo: ispettorato del lavoro, funzionari dell’Inps e delle Ausl, sindacalisti o giornalisti investigativi.


di Mario Paganini