Articolo Nr.188
del 16/12/2017
Posseduti dal lavoro

In apparenza sono distinzioni sottili, ma non è così. Ed è bene scoprirlo presto, dal momento che di esistenze ne abbiamo unicamente una soltanto!
Per vivere occorre avere un lavoro. Quindi avere un lavoro è una fortuna. Esiste però anche l’eventualità che si viva unicamente per lavorare. E questo rappresenta un rischio. Il lavoro allora si impossessa dell’uomo. Il lavoro invade, occupa ogni attimo dell’esistenza delle persone. Non esiste più nulla all’infuori del lavoro o che abbia un valore e che meriti considerazione oltre il lavoro.
Può essere una scelta. Coscientemente si vuole, si persegue, si ha come unico scopo della propria esistenza il lavoro.
Il più delle volte, invece, è una imposizione esterna, una coercizione - più o meno percepita - che porta a consumare gran parte del tempo e dell’esisenza per il lavoro, rimanendo sul luogo di lavoro, portando nella testa continuamente, assiduamente e unicamente idee e pensieri attinenti uno specifico lavoro.
Una simile situazione o circostanza è il risultato di poca attenzione, vigilanza, capacità cognitiva e volitiva delle vittime, relativamente all’ambiente in cui sono inserite.
C’è, poi, chi si presta, accetta o si illude, per mille ragioni, di trarre benefici personali agendo da aguzzino così come c’è chi - per indole, per inerzia, per quieto vivere - finisce con l’essere vittima.
Esistono, poi, dei falsi miti quali:
le risorse sono infinite. Eppure tutti, quotidianamente, percepiamo che il pianeta Terra è grande, ma non è privo di limiti;
la crescita, il progresso, il benessere sono infiniti. Eppure tutti, quotidianamente, constatiamo i problemi derivanti dall’inquinamento, da un benessere che cresce in maniera non omogenea, di una ricchezza che aumenta per pochi e di una miseria che si espande per molti. Non mancano le situazioni assurde o scandalose. Si trovano risorse per cercare l’acqua su Marte, ma non per sconfiggere la carenza d’acqua potabile sulla Terra. Pare che assicurare un litro d’acqua potabile, agli occupanti la Stazione Spaziale Internazionale, costi 48 mila euro. Avendo a disposizione cifre con un simile ordine di grandezza, quanta acqua potabile potrebbe essere destinata a chi ne ha bisogno sulla Terra?!
Ultime considerazioni. Mi auguro che presto si rifletta anche sulla necessità di riconoscere “il diritto a rallentare” od anche “il diritto a rimanere fermi”. Così come mi auguro che presto ci si renda conto che anche le capacità dell’uomo (siano esse di resistenza fisica alla fatica e allo stress, siano esse intellettive) non possono avere una espansione infinita.
È di questi giorni il disagio creato a tante persone a seguito di modifiche al sistema di esazione delle imposte, oppure per un aggiornamento importante del sistema operativo del “fidato” computer, oppure come conseguenza delle modifiche alle modalità di pagamento tra singoli, tra società, tra Pubbliche Amministrazioni.
Non contesto il diritto all’ammodernamento o alla innovazione. Contesto il fatto che il cambiamento, anche quando non gradito e non richiesto, sia imposto indistintamente a tutti!
Quanti - ad esempio - si sono trovati nella sgradita situazione di trovarsi il “fidato” computer “impallato/bloccato” per un aggiornamento non voluto e non richiesto?
Quanti - altro esempio - si sono trovati nella tribolata situazione di dover recepire immediatamente le nuove modalità per il pagamento di somme o tributi ad una Amministrazione, senza averne fatto richiesta od averne avuto notizia con un congruo preavviso?
Si crede che siano stati necessari milioni di anni di evoluzione per portare alla comparsa dell’uomo. Eppure si vorrebbe che, nel volgere di poche decine di anni, l’uomo si adattasse ad un ambiente esterno in rapida mutazione. Una mutazione globale, che scardina e stravolge quanto preesistente.
E veniamo ai giorni nostri.
Alla adozione di tecniche di produzione sempre più frenetiche, sempre più complesse, che mutano e si rinnovano sempre più frequentemente. Il cambiamento è continuo, intenso, profondo. L’uomo non governa la macchina, ma l’uomo è un ingranaggio della macchina. È la macchina che detta il ritmo della produzione. Salvo poi scoprire che l’uomo è sempre migliore della macchina, se non altro perchè sa adeguarsi prontamente al mutare delle situazioni o sa come correggersi.
Tuttavia anche l’uomo ha sempre dei limiti ineludibili e inevitabili. Illusorio, anzi fallace, pensare il contrario. Purtroppo, ancora per qualche tempo, questa sarà la strada che percorreranno in molti, e cioè: aumentare la produzione, sfruttando di più i lavoratori. Poi ci si renderà conto che i costi collettivi e sociali (salute, disoccupazione, fenomeni migratori) sono troppo alti. E gli Stati dovranno intervenire per una nuova regolamentazione che renda il lavoratore non posseduto dal lavoro.


di Mario Paganini