Articolo Nr.152
del 26/01/2014
Il chimico e la strega di Aavalon.

Lei era insignificante e tuttavia sembrava continuamente desiderosa di non essere vista. Sembrava volersi scusare per la sua presenza. O volersi giustificare per l'esistere. Sempre da sola e con lo spirito di chi sa di essere condannata ad una solitudine eterna. Sulla quarantina, aveva capelli lunghissimi, lisci e di un nero corvino. I capi d’abbigliamento che indossava avevano colori opachi, privi di vivacità o di una qualsivoglia allegria. Come fossero il risultato di acquisti frettolosi fatti in un polveroso magazzino “vintage”. Molte cose in lei ricordavano la metà del secolo appena trascorso. Nessuna amicizia e nessuna informazione quanto alla sua persona ed alla sua storia.
Nonostante tutto ciò lei era riuscita ad attirare la sua attenzione. Lui, chimico frustrato, l’aveva vista dalla vetrina della libreria in cui lei lavorava. Aveva percepito nel suo sguardo qualche cosa di magnetico. Per un attimo gli occhi scuri di lei gli aveva trasmesso una sensazione di vertigine. Solo un attimo, poi con l’indice lei si era risistemata i leggeri occhiali, privi di telaio, sul nasino ed aveva ripreso a guardare in basso. Con una scusa il chimico era entrato nella libreria, per uscirne subito, più impacciato che mai, ma anche più turbato che mai. Aveva simulato l’interesse per l’opera di un autore. Lei sapeva tutto a memoria. Travolto da una incredibile massa di informazioni lui che, invece, aveva bleffato non aveva trovato di meglio che farfugliare una qualche scusa sulla carta di credito, sul portafogli, il tutto dimenticato in un’altra giacca, ed aveva raggiunto rapidamente l’uscita.
Rientrato nel suo appartamento si era accorto che non era più solo, si era accorto che aveva ancora lei nella mente. Era una ossessione.
Nei giorni a seguire il volto di lei non lo abbandonava.
Lui, nel disordine delle stanze dell’appartamento, aveva trovato il modo per realizzare un piccolo laboratorio chimico, ma non riusciva a trovare la concentrazione per armeggiare con gli strumenti a sua disposizione. Da tempo non armeggiava più con quelli che erano i sui usuali attrezzi da lavoro.
Lui aveva lavorato presso una importante multinazionale. Un giorno il suo capo l’aveva convocato per affidargli un compito speciale. Sarebbe stato lautamente compensato se avesse raggiunto lo scopo. Il suo capo, con circospezione, quasi sussurrando, gli aveva bisbigliato che, l’oggetto della sua ricerca e del suo prossimo lavoro era stato “commissionato dai militari”, che era tutto “top secret”. Insomma, da quel momento in poi occorrevano la massima discrezione e prudenza. Naturalmente il capo era certo delle sue capacità. Il chimico si sentiva valorizzato. Era orgoglioso per le tante parole di elogio che il capo andava spendendo. Più quello parlava e più lui si convinceva di essere realmente “un chimico di eccezionale valore, dalle straordinarie capacità”. Quindi il risultato era scontato, l’unico elemento indeterminato … il tempo necessario per conseguire il risultato voluto. Il capo si congedò raccomandandogli nuovamente di fare la ricerca e di organizzare il lavoro in maniera non convenzionale. Nulla doveva far sorgere il benché minimo sospetto.
E lui, da “chimico di eccezionale valore, dalle straordinarie capacità “, iniziò a lavorare con scrupolo e dedizione. Per sviare curiosità dei compagni di laboratorio e per non far sorgere invidie tra i colleghi, valutò l’opportunità di proseguire parte della ricerca e del lavoro a casa propria. Così in quell’appartamento, al piano terra, aveva rimediato uno spazio per attrezzature varie. Il lavoro gli piaceva e l’incarico lo aveva esaltato. Era diventato un vero fanatico. Non c’era più distinzione tra il tempo trascorso in azienda ed il tempo trascorso nel laboratorio dell’appartamento.
Il capo ogni tanto veniva a fargli visita: per controllare come proseguiva la ricerca. Per “caricarlo” e renderlo ancor più esaltato, più consacrato alla missione; per parlare senza possibili orecchie indiscrete, sempre pronte ad ascoltare le loro conversazioni.
Ben presto il capo iniziò a venire anche per … la moglie del chimico.
Non poteva che essere così. Tanti anni trascorsi a fianco di un simile tipo di uomo erano, per lei, un peso enorme. La dedizione e lo zelo lavorativo del chimico, degli ultimi mesi, aveva poi reso la sua esistenza decisamente frustrante. Lei si sentiva trascurata. Era vezzosa. Era arrivista. Poiché inappagate, lei era soprattutto curiosa e vogliosa di cose nuove, sfarzose, mondane. Era anche di carattere temerario, ardimentoso, sfrontato al punto dal farla sembrare, spesso, o completamente incosciente oppure stupida. Accadde. Doveva accadere. Non poteva andare diversamente. Un giorno il chimico trovò sua moglie a letto con … il suo capo!
Il rapporto di lavoro fece la fine del rapporto matrimoniale. Con una differenza: la moglie, assistita da un mediocre e poco scaltro avvocato, non costituì un problema economico. Invece il compenso percepito dal chimico, per aver completato con successo quanto commissionatogli, gli procurò un inatteso benessere. Immaginabile l’euforia del chimico!
Euforia e benessere che mal si conciliavano con i magri risultati del chimico con le donne che, con il trascorrere del tempo, andava incontrando.
Aveva pensato di rivolgersi ad un specialista. Il chimico sapeva che qualche cosa nella sua mente stava mutando, che il suo cervello ed il suo sistema nervoso “non funzionavano più come una volta”. Lui si era reso conto di essere cambiato. Soprattutto, ora, capiva che non doveva vendicarsi della moglie in quel modo. Sì, effettivamente avvertiva una nota di follia, ma non pensava di essere completamente andato pazzo. Quando rifletteva sulla sua situazione, dopo un po’ provava una grande eccitazione, uno strano piacere, una insana ebbrezza. Riconosceva che non era una cosa normale, ma – accomodante – immediatamente si assolveva e si giustificava. Diceva tra sé: “E se anche fossi pazzo, di certo non sono scemo! Andare da uno strizzacervelli per dirgli: dottore, dottore mi curi! Sappia che ho già ucciso sei donne ed un uomo. Gli adulteri se lo meritavano … Le altre mi hanno respinto … E da qualche giorno ho adocchiato un’altra donna. Sarà la mia ottava vittima …”. Il chimico, poi, proseguiva borbottando: “È facile immaginare come finirebbe. Finirebbe che, dopo mezz’ora, sarei in una stazione di polizia. E, dopo qualche mese, sarei o in un manicomio criminale oppure sulla sedia elettrica!”
Completava queste sue frequenti riflessioni ridacchiando. Ogni volta sempre meno sommessamente ...
Il chimico ricordava il giorno in cui i militari avevano portato via tutto. Infatti sia le attrezzature che i suoi scritti erano stati precipitosamente asportati dai locali dell’azienda e dell’abitazione, subito dopo aver verificato – frettolosamente - la qualità del risultato da lui conseguito. Il giorno prima dei traslochi era stato invitato a presentare “ufficialmente” il suo lavoro. Il chimico si era diligentemente preparato per tenere un conferenza, con tanto di diapositive, tabelle e grafici. Ma … Ma i suoi ricordi si facevano confusi. Mentre alcuni si impossessavano della sua fatica, lui stava incontrando gente in divisa, con tante stellette e coccarde. Ricordava di essersi improvvisamente sentito male. Poi ricordava di essere stato dimesso da una struttura medica e di essere stato accompagnato alla sua abitazione. Ma non ricordava che cosa gli avessero detto i medici. Anzi, non ricordava affatto di aver parlato con dei medici. Quanto al mezzo utilizzato per riaccompagnarlo alla sua abitazione, gli era rimasto impresso che … non consentiva di vedere il percorso. Il chimico rammentava, mentre un brivido gli percorreva tutta la schiena, lo sgomento e lo sconcerto provati nello scoprire che, di cinque giorni della sua vita, non ricordava assolutamente nulla. Non voleva credere di essere stato uno strumento, usato, fruttato e smaltito. Però non trovava neppure una risposta alternativa!
Occorreva essere pratici: ora lui aveva una buona disponibilità di denaro. “A farsi troppe domande non si guadagna in salute! Anzi, … ” Difficile dargli torto! In effetti tornare dai militari sarebbe stata un’azione decisamente insana. Da sempre il denaro era e resta una buona medicina! Ma il denaro, con le donne, non sempre è determinante. Oppure aiuta solamente con un certo tipo di donne!
Il chimico ricordava come, ascoltato un motivetto, da lui in passato sovente fischiettato, aveva recuperato un poco di memoria. Sì, era lì. Nulla è ben nascosto come qualche cosa che, invece, è in bella mostra. L’interno di alcune grosse lampadine, per il risparmio energetico, riservava delle sorprese: piccole fiale. Contenevano la sua soluzione, con la rivoluzionaria tossina letale. Era infatti una tossina che, una volta nell’organismo, ne provocava rapidamente la morte. Era sufficiente una quantità modestissima. Poi, in pochissimo tempo, la tossina modificava le proprie caratteristiche chimiche. Fosse stato fatto anche un accurato esame non poteva emergere nulla: il decesso pareva dovuto a cause naturali! Aveva creato un’arma altamente selettiva. Inventata per eliminare le persone, senza lasciare traccia alcuna. Morti ammazzati per i quali, però, non era possibile dimostrare l’assassinio. L’arresto cardiaco e l’elettroencefalogramma piatto erano una risultante certa, ma l’origine, la causa scatenante l’evento, sarebbero rimasti un mistero. Non essendoci nulla che potesse ingenerare dubbi o sospetti, esistevano unicamente delle tragiche fatalità. La natura aveva fatto il suo corso. E quelle morti venivano classificate come semplici, ordinari decessi.
Sogghignava pensando che nessuno avesse collegato l’improvvisa morte della moglie e del “nuovo” compagno di lei nonché “ex” “capo”, con la sua tossina. Evidentemente il progetto del quale lui era stato parte determinante, era segretissimo; sconosciuto anche a molti militari.
Nella mente del chimico scorrevano i volti delle altre donne. Le aveva scelte accuratamente. Aveva notato la loro riservatezza, la loro solitudine. Lui, di carattere e natura debole, poteva e doveva cercare, necessariamente, le sue vittime nelle persone ancora più deboli di lui. Banalmente inoculava nei loro corpi la soluzione. Poi le invitava a non trascurare le conseguenze di un graffio o di una puntura. Quel graffio e quella puntura che lui era riuscito abilmente a provocare. Creava in loro uno stato di ansia e di apprensione. Le sollecitava sull’urgenza di un esame sanitario. Proponeva loro un passaggio, potendo – così facendo - raggiungere personale specialistico in brevissimo tempo. La soluzione inoculata faceva effetto velocemente. Con un fiume di parole distraeva le sue vittime, mentre guidava in direzione dell’appartamento. Quando le sue vittime iniziavano a crollare, confessava loro il suo crimine. Vilmente dichiarava, spergiurava, il suo pentimento ed assicurava loro che aveva l’antidoto. Falso! La tossina iniziava, inesorabilmente, ha produrre i suoi effetti nefasti. Le sue vittime erano frastornate e poco reattive. Miseramente subivano la sua violenza.
La cartolibraia giaceva sul letto. Come le altre era passiva, ma non il suo sguardo. Il chimico, ancora una volta, percepì qualche cosa di inquietante, di magnetico, di vertiginoso. Fu l’unico attimo di lucidità. Poi si lasciò trasportare da quanto di più insano e di più folle gli andavano urlando, nella mente, l’istinto.
Il chimico si sentiva privo di energia. Fissava lo specchio. E lo specchio gli ritornava l’immagine di un volto pallidissimo, con un piccolo graffio su una guancia. Il chimico non ricordava di essersi prodotto alcun taglio … “Un pazzo è pazzo, ma non è scemo” ripeteva mentre con la memoria ripassava tutti gli attimi precedenti l’amplesso. Poi un dubbio. Fissò nuovamente la sua immagine allo specchio. E quello gli ritornava un volto sempre più pallido, con i muscoli del volto sempre più rigidi. Alle spalle di quell’immagine il letto. Lei non era distesa. Il chimico respirò a fondo e tornò a ripetere “Un pazzo è pazzo, ma non è scemo”. Per un attimo. Poi cominciò a dubitare ... Non era possibile! Ed invece lei era in piedi. Sembrava non aver peso. Sembrava lievitare qualche centimetro sopra la superficie di quel letto.
“Addio, essere insignificante! Tu ti sei accontentato di avere dei corpi. Io, tra poco, avrò il tuo corpo e la tua anima. Da secoli le creature come me condividono la conoscenza del passato. So quello che hai commesso. Ma non sarebbe stato facile, per me, trovarti. Ho semplicemente aspettato che tu cercassi me. E mi sono fatta trovare. Preparata.”
Con enorme fatica, in un ultimo rantolo, il chimico gemente domandò: “Ma tu, chi sei?”
Non sentì la risposta.
“Vengo dalla regione di Aavalon. Avresti dovuto testare più a fondo la tua scoperta. Il mio gruppo sanguineo è raro, ma non rarissimo … La tua infame tossina non poteva essere efficace su di me. Al contrario è micidiale per tutti. Anche tu non fai eccezione. La tua ora è giunta. Nella foga della tua lussuria, io ho fatto in modo che ti procurassi un graffio. Non te ne sei neppure accorto … Così hai condiviso ciò che mi hai inoculato!”
Un attimo dopo era a fianco di quel corpo immobile, raggomitolato sul pavimento. La sua mano sembrò sfiorarne il petto ed il capo. Quando la ritrasse stringeva qualche cosa nel pugno.
Giorni dopo, chi fosse passato nei pressi della libreria esoterica, avrebbe visto - oltre la vetrina – un’esile figura di donna. Nel locale c’erano e ci sono numerosi scaffali, stracolmi di libri. In un ripiano c’è un vaso; tanti libri e un solo vaso. Quel vaso di alabastro lasciava intravvedere quanto conteneva: numerose piccole pietre. L’esile figura sapeva di aver aggiunto, recentemente, un’altra pietra.


Mario Paganini